Il discorso di Rachel Reeves del 19 febbraio (la «Mais Lecture 2024») deve essere preso in seria considerazione. Anzitutto, perché proviene da una figura di spicco del partito laburista inglese, ora Cancelliere ombra e in prima fila per diventare la prossima premier britannica nel caso, molto probabile, di una vittoria laburista alle imminenti elezioni. Reeves ha un passato da economista presso la Banca d’Inghilterra ed è un’esponente della cosiddetta «nuova economia dell’offerta».

Una ricetta di politica economica che rifiuta la de-regolazione à la Thatcher per propugnare la costruzione di infrastrutture, l’eguaglianza di opportunità nell’istruzione e nuove politiche industriali. Un ruolo più attivo dello Stato, quindi, nel plasmare i mercati e le filiere produttive anche attraverso incentivi e misure di reshoring e friendshoring (riportare dentro i confini nazionali le catene del valore e spostare le catene del valore verso paesi amici).

Si tratta di un cambiamento di passo rispetto al modello neo-liberale e all’ombra lunga dell’eredità di Margaret Thatcher, che così tanta influenza ha avuto sul New Labour e sulla terza via di Tony Blair. Un cambiamento, a maggior ragione, anche piuttosto netto rispetto all’attuale governo conservatore.

LE CRITICHE alla Thatcher e al New Labour, del resto, sono più o meno un atto dovuto, alla luce della sua disastrosa eredità. Per capire se e dove esista una vera discontinuità, occorre porre l’attenzione non sui confini che Reeves disegna rispetto all’eredità thatcheriana, quanto al nuovo modello di politica economica che la sua proposta delinea per il futuro governo laburista. Da questo punto di vista, l’affrancamento dall’ortodossia è molto meno radicale di quanto possa sembrare solo giudicandolo dal solco tracciato con il neo-liberalismo.

L’OBIETTIVO principale, il motore dell’intera macchina economica progettata da Reeves, è stimolare la crescita e la produttività, senza alcun dubbio sulla capacità di quali siano le politiche migliori per farlo. Il piano originale dei laburisti in chiave «securonomics» – l’etichetta coniata dalla Reeves – prevedeva 28 miliardi di sterline di investimenti pubblici all’anno, ma è stato abbandonato.

Cosa rimane ora con la «securonomics» versione 2.0? La decisione del Labour di non impiegare i già annunciati 28 miliardi di sterline di debito pubblico per un piano di prosperità verde in caso di vittoria alle elezioni, rappresenta un’importante ritirata simbolica dall’aspirazione di costruire un diverso tipo di economia. Del resto, anche l’idea iniziale di prendere in prestito 28 miliardi di sterline per un piano di prosperità verde è sempre stata confusa e contraddittoria. Tanto nella versione originale che in quella 2.0, l’obiettivo centrale della politica economica del Labour era ed è «la crescita economica più rapida del G7». Un obiettivo, in sé, non molto «verde».

Si tratta di un modello che opera attraverso incentivi finanziari alle imprese e agli investitori, senza prestare attenzione alla logica e alla struttura del settore industriale e all’autonomia della politica nel definire obiettivi di interesse collettivo. Il Regno Unito è in ritardo nella costruzione di fabbriche di batterie per auto, la cui filiera è ridotta a un insieme frammentato di impianti di assemblaggio che (con pochissime eccezioni) sono marginali nelle strategie globali delle grandi case automobilistiche esistenti.

La «politica industriale leggera» delineata dalla Reeves è la versione britannica della «Bidenomics», ma senza denaro pubblico e in assenza della base industriale statunitense. Reeves propone un’alleanza tra le imprese più dinamiche, i settori più forti e il governo, nelle filiere in cui il Regno unito ha un certo vantaggio comparato: dai servizi finanziari, alle scienze della vita, alle industrie creative.

UNA POLITICA industriale del tutto schiacciata sull’idea che il compito della politica sia solo di scoprire cosa le imprese vogliono fare e incentivarle a farlo, così gli investimenti privati possono risolvere i nostri problemi collettivi. L’apporto di investimenti privati e/o l’intermediazione del mercato finanziario faciliteranno ciò che lo Stato, la politica e la spesa pubblica non avrebbero fatto, o non sarebbero stati in grado fare.

Da questo punto di vista, è interessante notare che il superamento dei limiti planetari non compaia mai direttamente nell’analisi di Reeves. Una ricetta, quindi, che non mette a tema le questioni chiave che il rapporto tra crescita e ambiente deve invece affrontare: se gli investimenti privati ci porteranno veramente a un’economia compatibile con i limiti planetari e se l’intermediazione finanziaria aiuta o ostacola effettivamente questo tipo di sviluppo.