La moratoria sulle rinnovabili della Sardegna, proposta dalla giunta di centrosinistra della Sardegna guidata dalla pentastellata Alessandra Todde, è tra gli ultimi atti di una campagna ostile, che rischia di rallentare o bloccare la transizione dopo la ripresa, tuttora insufficiente, di questi ultimissimi due anni.

In Italia c’è un partito, trasversale, del gas e del petrolio. Questa linea fossile non c’è solo in Italia: negli Stati Uniti i Repubblicani che cercano di bloccare un grande progetto eolico nel New Jersey, promosso dall’amministrazione Biden, sono finanziati da un gruppo di petrolieri. Come, del resto, sono molto alti sono i contributi dei petrolieri alla campagna presidenziale di Donald Trump, i cui attacchi alle rinnovabili sono costanti.
Tornando alla questione sarda, con l’alleanza «Sardegna Rinnovabile» (Greenpeace Legambiente, Kyoto Club e Wwf), abbiamo ribadito che «il timore per le numerose richieste di connessione alla rete di impianti rinnovabili (che non equivalgono affatto a una autorizzazione dei progetti) e l’assenza di criteri utili per identificare progetti in linea con il territorio e l’ambiente, come le aree idonee, non possono giustificare una moratoria regionale per le rinnovabili, strumento in relazione al quale la Corte costituzionale è già intervenuta più volte, evidenziando i frequenti casi di illegittimità costituzionale».

Così si agita una campagna contro i mulini a vento e i pannelli solari, che sono tra le poche armi che possiamo usare per liberarci dalle fossili in una strategia contro la crisi climatica.

Nei convegni contro le rinnovabili c’è chi persino difende il carbone, la fonte più inquinante per l’ambiente e il clima globale.

Con il Tyrrenian link, il cavo sottomarino che rafforzerà i collegamenti elettrici con la penisola, la cui autorizzazione va accelerata, e con un serio sviluppo delle rinnovabili e di impianti per l’accumulo – persino questi osteggiati e oggetto della moratoria! – la Sardegna potrebbe finalmente chiudere con il carbone senza aver bisogno del gas e diventando un esempio di regione rinnovabile. Invece si bloccano le rinnovabili ma non le infrastrutture fossili in una regione con una elevatissima quota ancora a carbone.

Sul piano nazionale attaccare le rinnovabili, rimettendo in discussione scelte già fatte come fa il ministro Lollobrigida, che tenta di bloccare anche l’agrivoltaico, o straparlare a vanvera di nucleare – dalla IV generazione alla fusione – serve solo a cambiare discorso, a fare ammunina per cercare di mantenere lo statu quo confezionato come il risibile «Piano Mattei». Mentre lo strumento delle «aree idonee» è ancora in fase di gestazione.

Il gas fossile pesa ancora per il 50% nella produzione elettrica, quota che potrebbe benissimo essere minimizzata nel giro di pochi anni col solare e con l’eolico. Ma ridurre il mercato delle fossili, gas incluso, non va bene a tutti. Specie a quelli che dominano il mercato del gas e che non hanno (ancora) un ruolo di rilevo nella transizione e puntano, come Eni, su opzioni inaffidabili come la cattura e lo stoccaggio della CO2 (CCS) o a fantasmagoriche produzioni di biocarburanti.

Va anche detto che esiste diffuso un «pregiudizio fossile»: per sostituire gas, petrolio e carbone – fonti sporche ma con alta densità energetica – occorrono molte rinnovabili, fonti pulite e a minore densità energetica, che dunque sono più visibili. E alcune risorse, come il vento, sono disponibili in certe regioni e non in altre.

La tutela del paesaggio può però andare d’accordo con le rinnovabili, superando gli attuali Piani energia e ambiente della Regione identificando strumenti di pianificazione, coinvolgendo i territori interessati, come abbiamo chiesto come Sardegna Rinnovabile ai candidati alle elezioni regionali. Vanno dunque progettati i nuovi paesaggi energetici della transizione, considerandoli come quei «beni comuni» che in effetti sono, e coinvolgendo sin dalla progettazione le comunità locali.

* direttore Greenpeace Italia