Fin dove si spingerà Kais Saied? Chi lavora in ambito migratorio a Tunisi si pone questa domanda da tempo. Il 21 febbraio 2023 il presidente della Repubblica ha accusato le persone di origine subsahariana e sudanese di stare compiendo una sostituzione etnica nel paese. Successivamente, nel luglio dello stesso anno, sono arrivate le strette di mano con la premier Giorgia Meloni e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen per la firma del memorandum d’intesa, mentre il ministero degli Interni attuava vere e proprie deportazioni di migliaia di migranti verso le zone desertiche ai confini con Algeria e Libia.

Le deportazioni continuano ancora oggi. Saied, invece, ha rivolto l’attenzione verso tutti coloro che si occupano di migrazioni: «La Tunisia non sarà una terra d’insediamento per questi immigrati e non è neanche un punto di passaggio per loro. Ci sono degli individui che hanno ricevuto dei soldi nel 2018 per portare qui queste persone. Enormi somme di denaro sono arrivate dall’estero a favore degli immigrati africani e a profitto di reti e associazioni che pretendono falsamente di proteggere queste persone», ha dichiarato il presidente durante il Consiglio di sicurezza del 6 maggio scorso.

SAIED È PASSATO presto dalle parole ai fatti. Nell’ultima settimana quattro persone di tre organizzazioni diverse sono state poste in custodia cautelare con capi di accusa che vanno dall’associazione a delinquere con il fine di aiutare le persone a entrare illegalmente in Tunisia al riciclaggio di denaro e appropriazione indebita. Si tratta di due esponenti del Centro tunisino per i rifugiati (Ctr) che lavora a stretto contatto con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), all’interno di un quadro giuridico estremamente precario in quanto il paese manca di una legislazione sul diritto d’asilo; della ex presidente di Terre d’Asile in Tunisia Sherifa Riahi e di Saadia Mosbah, uno dei volti più conosciuti della società civile locale per la sua attività di sensibilizzazione contro il razzismo e presidente dell’associazione Mnemty.

I dettagli della messa in applicazione di queste disposizioni rappresentano un precedente a cui la società civile tunisina potrebbe abituarsi molto presto. I locali di Terre d’Asile sono stati perquisiti a Sfax, Sousse e Tunisi. La stessa sorte è capitata all’ufficio di Mnemty e all’abitazione di Mosbah. Nonostante un quadro altamente frammentato e a rischio per chi decide di andare contro le disposizioni presidenziali, le reazioni non sono mancate. Romdhane Ben Amor, portavoce del Forum tunisino per i diritti economici e sociali, ha dichiarato che «la Tunisia sta aggravando la crisi e promuove l’idea che non ci sia una soluzione». Si è espresso duramente anche Bassem Trifi, presidente della Lega tunisina dei diritti umani, organizzazione che vinse il premio Nobel per la pace nel 2015.

AL DI LÀ DELLA CRONACA è importante capire dove si inserisce l’ulteriore stretta autoritaria del presidente Kais Saied. Da inizio anno la Garde nationale ha dichiarato di avere intercettato in mare 21.270 persone, 9mila in più rispetto al 2023. Un dato preoccupante sia per il piccolo Stato nordafricano, diventato un hub strategico di primo piano per le partenze, ma anche per l’Europa e per l’Italia in particolare, impegnate a finanziare in maniera sempre più importante le politiche securitarie della Tunisia.

Una soluzione per garantire gli interessi delle due sponde del Mediterraneo sono le deportazioni verso il deserto. Da quasi un anno migliaia di persone sono state caricate sui bus e lasciate a loro stesse in aree disabitate lungo i confini del paese con l’Algeria e la Libia. Un meccanismo attuato dal ministero degli Interni su tutto il territorio nazionale, con una particolare attenzione a Sfax, seconda città della Tunisia dove il fenomeno migratorio è più accentuato. L’ultimo caso risale alla mattina del 3 maggio di fronte ai locali dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) e dell’Unhcr a Tunisi dove centinaia di persone in attesa del rimpatrio volontario o che godevano di qualche forma di “protezione” avevano trovato un rifugio precario costruito con tende di fortuna. Un imponente intervento securitario ha evacuato la zona, arrestato circa 80 persone e deportato almeno altre 200, secondo la ricostruzione di Refugees in Libya.

ANCHE IN QUESTO CASO urge andare oltre la cronaca. La sensazione che emerge da questo ulteriore restringimento presidenziale è che da ora in avanti occuparsi di migrazione e documentare possibili abusi diventerà sempre più complicato, soprattutto in quelle zone periferiche dove le violazioni avvengono. A partire proprio da Sfax: in questa città da più di un mese sono aumentati i raid della polizia nei confronti della popolazione subsahariana e sudanese.