Nella quiete che precede la storia appaiono una donna e un uomo. Nell’Eden primordiale i loro corpi emettono effetti acustici che diventano ritmo, a questi si aggiungono veri e propri vocalizzi. Il suono come prima azione, è un segno importante. Grazie a questo palesamento nasce la relazione tra i due individui, un accordo dello spirito, i due sincronizzano le loro voci e il battere delle loro mani sulla testa e sul petto e poi il respiro, lungo, più breve e poi ancora lungo. Alla pausa dell’uno corrisponde il soffio dell’altra, siamo di nuovo testimoni della nascita di qualcosa, un primitivo contrappunto. L’origine della vita corrisponde straordinariamente all’origine (cinetica) della musica. L’uomo in quanto movimento è musica secondo la trasposizione teatrale sulla creazione della nostra specie indagata in Hokuspokus, la nuova produzione dei tedeschi Familie Flöz in coproduzione con il Theaterhaus Stuttgart e il Theater Duisburg andata in scena al teatro Bellini di Napoli dal 23 al 28 aprile. L’ensemble crea il mondo virtuale davanti agli occhi del pub

COME SAREBBE una serata di teatro che comincia con l’inizio di tutto? Si interrogano gli ideatori e interpreti Fabian Baumgarten, Anna Kistel, Sarai O’Gara, Benjamin Reber, Mats Süthoff, Michael Vogel e Hajo Schüler cofondatore con Vogel della compagnia tedesca, regista e creatore delle maschere, elemento caratterizzante di questo spettacolo e cifra stilistica del teatro di Familie Flöz. Quali personaggi vorremmo vedere rappresentati? E soprattutto, come andrebbe a finire?
I due protagonisti, frastornati dallo stupore del principio di ogni cosa, muovono i primi passi come coppia. Dalla vita estatica di natura vengono catapultati nel tormento della storia e trovano un appartamento a prezzi accessibili. Uno, due, tre figli, la famiglia comincia a scricchiolare. La mamma severa e implacabile, il papà funambolo goffo tra gli obblighi dell’esistenza. I figli despoti sul sofà di casa, in camera da letto e con gli amici crudeli e sarcastici come loro. Il tempo si occupa di erodere il piccolo mondo raccontato magistralmente, in un garbuglio allusivo e metaforico, intervallato da irriflessivi divertissement che accadono senza previsione e sono deliziosamente comici come può esserlo spesso la vita. La finzione scenica è un gioco a carte scoperte, l’ensemble crea il mondo delle maschere davanti agli occhi del pubblico. Gli attori/musicisti prestano i loro corpi ai personaggi e prendono nelle proprie mani il destino delle maschere. Creatore e creazione si incontrano finché la storia non finisce.Lo spettacolo riunisce il linguaggio e il canto nati dal corpo umano

IL TITOLO trae dalla presunta volgarizzazione dell’aforisma latino «Hoc est enim corpus meum» – «Questo è il mio corpo». Un gioco di prestigio che si diverte a rappresentare l’alternarsi della menzogna e della verità in un continuo riposizionamento di punti di vista. Per noi Hokuspokus è un dramma musicale, non ci sono parole ma un firmamento visivo-aurale nei 90 minuti di questa divagazione antropologico-sonora che contiene scintille di saggezza carica di affetti. Il dramma musicale riunisce il linguaggio e il canto nati dal corpo umano un po’ come nel teatro tradizionale balinese che mescola il vocalizzo alla danza e mantiene la piccola orchestra ben visibile sulla scena così che i gesti dei musicisti siano tutt’uno con l’azione mimata ed essi stessi diventino azione indossando maschere sovradimensionate e grottesche di incredibile forza espressiva. Per tutto questo un plauso particolare va alla progettazione sonora di Vasko Damjanov, all’illuminazione e alla progettazione video di Reinhard Hubert e alle musiche di Damjanov, Sarai O’Gara, Benjamin Reber.