Hai voglia a cercare di smarcarti per anni dalla tua storia, a costruire un lungo percorso fatto di interessati silenzi, sulle vicende più buie del passato, o di imbarazzanti censure, il caso Scurati docet, che poi basta il titolo di un libro a riportare tutto alla disarmante realtà delle cose.

PERCHÉ, PER QUANTA STRADA abbia fatto, o immagini di aver fatto, Fratelli d’Italia e la sua leader, nonché Presidente del consiglio, Giorgia Meloni, il volume che raccoglie la lunga intervista che Antonio Carioti ha fatto a Marco Tarchi afferma, per l’appunto fin dal titolo che siamo in presenza de Le tre età della fiamma (Solferino, pp. 434, pp. 19,50) o, per meglio dire, di una storia della destra italiana che va, letteralmente, «da Giorgio Almirante a Giorgia Meloni».

Se poi si considera che il testo rimanda, presentandosi come una sorta di suo aggiornamento a quel Cinquant’anni di nostalgia che Tarchi pubblicò, sempre intervistato da Carioti, nel 1995 (Rizzoli), vale a dire all’indomani dell’arrivo a Palazzo Chigi di Silvio Berlusconi alla guida di una coalizione della destra plurale che includeva anche i neofascisti dell’Msi, partito trasformatisi all’epoca in pochi mesi in Alleanza nazionale, si comprende quanto l’analisi di Tarchi rimandi in qualche modo «gli eredi della fiamma» alle loro origini.

Ex dirigente giovanile del Msi, capofila del capitolo nostrano della Nouvelle Droite di Alain de Benoist e da tempo politologo attento e curioso verso i nuovi fenomeni che traversano l’opinione pubblica occidentale, primo fra tutti il populismo, Tarchi rivendica di poter leggere trasformazioni e continuità di quelli che lui stesso definì come «esuli in patria» nel tempo lungo della crisi della politica italiana, arrivando a definire quello di Meloni come un partito «nazionalconservatore», pur precisando che «conservatori, però, checché molti ne pensino, non è sinonimo di moderati».

LA SENSAZIONE, lungo le pagine di un testo che all’analisi storico-politica alterna anche valutazioni frutto dell’esperienza personale dell’autore, è che però la vera scommessa ancora aperta in questo ambiente non riguardi tanto il rapporto con la prima parte del Novecento bensì con la seconda: con 80 anni di neofascismo piuttosto che con il Ventennio mussoliniano.

Non a caso, riflettendo sulla formazione della cosiddetta «generazione Atreju», la platea giovanile di An dove si è formata una parte considerevole della leadership di FdI, e oggi di una fetta dell’esecutivo, e sfiorando implicitamente il tema della ricerca di una cultura di destra da candidare ad una possibile «egemonia», Tarchi sottolinea come «i suoi dirigenti hanno puntato più sulla formazione di quadri intermedi ideologicamente omogenei, ispirati dagli stessi principi e dagli stessi autori, anziché su un dibattito a tutto campo che favorisse elaborazioni culturali originali».

Così, se si escludono i riferimenti recenti, soprattutto da parte della stessa Meloni a filosofi neoconservatori come Scruton e Hazony, «i testi che vengono citati dagli esponenti del partito, quando rievocano le letture che li hanno segnati, sono gli stessi che avevano fatto da livres de chevet di chi li aveva preceduti vent’anni prima nell’ambiente giovanile missino, a partire dagli scritti di Ernst Jünger e di Tolkien. Qua e là spunta persino Evola, seppur trattato con le molle. Mancano i nomi più “inquietanti”, quelli di Drieu La Rochelle, di Brasillach, dei capifila dei “fascismi sconosciuti”, ma chissà che qualcuno di loro non li abbia frequentati al riparo da occhi indiscreti…».

Ancor più nel segno della continuità sono i risultati dell’indagine svolta da Luciano Cheles, già docente di Studi italiani nelle università di Lancaster, Lione e Poitiers, con Iconografia della destra (Prefazione di Edoardo Novelli, Viella, pp. 218, euro 29), un volume che analizza, grazie ad una vasta messe di manifesti, volantini e materiali prodotti dalle diverse formazioni che si sono succedute a partire dalla fondazione dell’Msi nel 1946, oltre mezzo secolo di «propaganda figurativa» di quest’area, ancora una volta «da Almirante a Meloni».

NELLE CONCLUSIONI, Cheles parla non a caso, da questo punto di vista, di «rinnovamento nella continuità», evidenziando come l’evoluzione di questa destra appaia come «più apparente che reale». In particolare, sul piano dell’iconografia, «le immagini svolgono un ruolo di primaria importanza (…): è sul loro uso oculato che si basa la politica del doppio registro», tra passato e presente. «Essendo per natura vaghe, esse si prestano ad essere utilizzate per veicolare messaggi che risulterebbero indigesti se fossero espressi verbalmente».