Importante rotazione ai vertici in Ucraina: è stato rimosso dal suo incarico il segretario del Consiglio nazionale della difesa e della sicurezza del paese Oleksii Danilov, ex-sindaco della città di Luhanks ora occupata dalle forze russe. Lo ha annunciato ieri Zelensky dal sito ufficiale della presidenza, senza rendere però nota alcuna motivazione. Si tratta, forse, di una prosecuzione del “rimpasto” generale dei direttivi militari iniziato lo scorso febbraio con la sostituzione del comandante delle forze armate Valerij Zaluzhny e parallelo a un cambio di strategia dovuto al sostanziale fallimento della controffensiva. Al posto di Danilov, l’attuale capo dell’intelligence estera Oleksandr Lytvynenko – attivo nell’ambito della sicurezza del paese da quasi vent’anni.

INTANTO, dopo il tentato attacco missilistico a una loro sede a Kiev di due giorni fa, i servizi di sicurezza ucraini tornano nel mirino (stavolta più che altro verbale e diplomatico) delle autorità russe: ieri un tribunale di Mosca ha infatti accusato in absentia il capo dell’Sbu Vasyl Maliuk per «terrorismo», probabilmente sulla base di alcune dichiarazioni di questi giorni dello stesso Maliuk che rivendicava la paternità di attacchi in Crimea e sul territorio russo (avvertendo anzi che ce ne saranno di nuovi, proprio mentre vengono segnalati ulteriori tentativi di sabotaggio presso una raffineria di Samara). Inoltre, il direttore del Servizio federale per la sicurezza russo (Fsb) Aleksandr Bortnikov ha parlato con la stampa del terribile attentato di venerdì scorso alla sala concerti Crocus City Hall della capitale (139 morti e oltre 180 feriti), confermando la responsabilità di «estremisti islamici» i quali, però, a sua detta sarebbero stati aiutati dai servizi segreti occidentali e ucraini che avevano una «connessione diretta» con loro.

IN PARZIALE CONTRASTO con quanto aveva affermato Putin tre giorni prima della strage (secondo il quale gli avvertimenti di Washington erano nient’altro che «provocazioni» e «ricatti»), Bortnikov ha poi dichiarato che all’inizio di marzo la Russia avrebbe ricevuto dagli Stati Uniti delle informazioni su potenziali attacchi terroristici diretti verso raduni di massa – aggiungendo però che erano informazioni «generiche» e che non si menzionava il Crocus City Hall. Anche il presidente della Bielorussia Aleksandr Lukashenko ha offerto ieri la propria versione dell’accaduto, dicendo che dopo la strage gli attentatori avrebbero prima cercato di dirigersi verso Minsk e solo successivamente, temendo il rafforzamento dei controlli al confine, avrebbero virato verso l’Ucraina (eppure Putin a caldo aveva parlato di una «finestra aperta» lasciata dalle autorità di Kiev per i terroristi).

SOVRASTATI DAL RUMORE dei discorsi ufficiali, gli arresti crescono e il clima della società russa sembra peggiorare. Alle quattro persone accusate di essere i responsabili diretti (Dalerjon Mirzoev, Saidakram Rajabalizoda, Faridun Shamsiddin, Muhammadsobir Faizov) e alle tre ritenute in qualche modo connesse agli eventi (Aminchon, Dilovar e Isroil Islomov, due fratelli e il loro padre) si è aggiunto ieri Alisher Kasimov, che avrebbe affittato un appartamento a uno dei presunti attentatori. Si tratta nei primi quattro casi di persone identificate dalle autorità come tagiki, mentre nell’ultimo caso l’arrestato pare essere nativo del Kirghizistan: contingenze che stanno provocando reazioni sia da parte dei governi dei paesi coinvolti che tensioni all’interno delle comunità migranti (sono milioni dal Centro Asia a spostarsi in Russia ogni anno, soprattutto in cerca di lavoro; secondo i report della Banca Mondiale, le rimesse equivalgono al 48% del Pil tagiko e al 21% del Pil kirghiso).

Media come Meduza o Radio Free Europe hanno raccolto numerose testimonianze di discriminazioni nei confronti delle persone centroasiatiche presenti sul territorio russo e il ministero degli esteri di Bishkek ha diramato una comunicazione in cui sconsiglia i propri cittadini dal recarsi nella Federazione, a meno di motivazioni urgenti.

IL TUTTO MENTRE RESTA INEVASA da parte delle autorità di Mosca la questione delle torture subite dai sospettati arrestati, di cui è uscita nei giorni scorsi una cospicua documentazione: «Lascerò questa domanda senza risposta», ha dichiarato il portavoce del Cremlino Dimitri Peskov ai giornalisti che chiedevano conto dei visibili segni di violenza sui volti e i corpi degli accusati comparsi nelle aule di giustizia.