“Sono io il capitano”, urla Seydou, giovane protagonista del film Io capitano di Matteo Garrone, al termine del viaggio. Il finale irrompe prima dell’arresto. Ma tra il film e la sorte di una donna iraniana prigioniera nelle carceri italiane, più banale del male è il paragone stesso.

Non è la famigerata prigione di Evin. Non è il carcere noto per la sistematica violazione di diritti umani a danno degli oppositori del regime di Teheran. Ma a Maysoon Majidi varcare la soglia della casa circondariale “Rosetta Sisca” di Castrovillari avrà fatto lo stesso effetto. Lei, attrice, drammaturga e regista, per il governo iraniano è una minaccia. Per l’Italia, invece, è una presunta scafista arrivata sulle coste calabresi il 31 dicembre. Attivista per i diritti umani appartenente alla minoranza curda, Maysoon è arrestata per la prima volta durante le manifestazioni nel 2019, torturata e poi rilasciata. Fugge per la paura di essere catturata di nuovo. Con il fratello raggiunge il Kurdistan iracheno, ma anche lì è vittima di discriminazioni. Quando scopre che in Iraq non le rinnoverebbero il permesso di soggiorno e sarebbe rimpatriata in Iran, decide di partire per l’Europa. Suo padre, professore universitario, vende tutto quello che ha per far scappare i figli. Imbarcatasi su un veliero in Turchia, dopo cinque giorni di navigazione il battello si incaglia nelle secche tra Gabella e Marina di Strongoli. Lo sbarco a Crotone. Infine il carcere.

Il 26 marzo è in calendario l’udienza davanti al giudice del tribunale della città pitagorica. L’attivista, secondo la ricostruzione investigativa, sarebbe stata riconosciuta da due migranti che l’avrebbero vista nella zona del timone. In più, sul suo telefono sarebbero state ritrovate foto che la ritraggono sul ponte della barca. Sostiene l’accusa che la ragazza avrebbe avuto il compito di distribuire i pasti, dare da bere e mantenere la calma a bordo. Ma non avrebbe guidato materialmente l’imbarcazione, che era invece condotta da un cittadino turco. Un equivoco, per l’associazione che ne ha preso le difese. Secondo i magistrati, si presenta il pericolo di fuga, non avendo un domicilio o parenti in Italia.

È il “decreto Cutro” a rendere tutto più difficile. Perché di fatto si ritorna ad una situazione in cui la protezione è riconosciuta solo ai cittadini stranieri ritenuti “degni”: lo stato detentivo e un’indagine a carico pregiudicano l’ottenimento del permesso per motivi umanitari.

L’incubo, nella mente della 27enne iraniana, è il rimpatrio. Il rischio, fanno sapere i legali, è altissimo: “Potrebbe costarle la vita”. Majidi rischia una pena da 6 a 16 anni e una multa di 15mila euro per ogni persona a bordo. Rimane da stabilire se la norma violi i principi costituzionali: la Corte di giustizia europea sta già esaminando la richiesta della Cassazione in merito alla garanzia di circa 5mila euro che i richiedenti asilo sono costretti a versare per evitare il trattenimento in attesa che si compia l’iter della domanda di protezione. Era stata l’Avvocatura dello Stato a ricorrere in Cassazione per sconfessare le ordinanze della giudice di Catania Iolanda Apostolico perché non aveva convalidato i trattenimenti nel Cpr di Pozzallo.

“Abbiamo una Carta costituzionale – spiega al manifesto l’avvocata Shady Alizadeh – che garantisce che la bilancia della giustizia sia equilibrata. Purtroppo il decreto Cutro e tutto il sistema normativo hanno il solo scopo di trovare un colpevole a tutti i costi. Maysoon può chiedere protezione internazionale, ma se la ottenesse, non cambierebbe in alcun modo la sua posizione nel procedimento. La normativa riconosce che una persona sia fuggita dal suo paese perché rischiava la vita, ma ciò non è sufficiente a cambiare il capo di imputazione. Davvero paradossale”.

Il suo è diventato un caso anche grazie all’interessamento di Amnesty International e del gruppo di attiviste italo iraniane di Woman For Life and Freedom. A sostegno di Maysoon si schierano diverse forze politiche dell’arco democratico, giuristi e collettivi femministi e studenteschi: “Condanniamo il regime iraniano per i crudeli atti discriminatori e repressivi verso le donne e contro chi mostra il proprio dissenso – dichiarano le attiviste del Collettivo Medusa e dell’Aula Studio Liberata dell’università della Calabria – ma anche il governo Meloni, che mette in pericolo i diritti dei singoli col sistematico uso della forza”. Dello stesso avviso l’avvocato Francesco Sicilia dell’Associazione Studi Giuridici sull’Immigrazione: “La situazione di Majidi è quella di migliaia di stranieri processati per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Per la configurazione di questo reato non è necessario che vi sia un qualsivoglia fine di profitto, né servono prove dell’appartenenza a presunte organizzazioni di trafficanti. È tutto in mano alle autorità nelle fasi iniziali dell’approdo in Italia. La preoccupazione di identificare presunti scafisti risulta prioritaria. Le accuse finiscono per criminalizzare azioni da cui può dipendere la vita o la morte di chi attraversa il mare. È una giustizia che diventa anche razzista, sottoponendo le persone migranti spesso a processi sommari in cui le difese, spesso d’ufficio, vengono menomate dalle difficoltà nel rintracciare i testimoni, dai costi delle perizie tecniche e dall’assenza di mediazione linguistica e culturale”. Negli ultimi dieci anni circa 3.200 persone sono state arrestate e processate per il reato di favoreggiamento dell’immigrazione irregolare. Secondo Parisa Nazari, mediatrice interculturale e attivista iraniana dell’Associazione Women for Life & Freedom, “dopo l’ondata di solidarietà al movimento Donna Vita Libertà in Italia e in tutto il mondo, la comunità italo-iraniana attende da mesi azioni concrete da parte del governo italiano nei confronti del regime iraniano. Invece si trova ad affrontare casi come quello di Maysoon in cui un’attivista fuggita dalla repressione di un regime liberticida viene perseguitata da un decreto legge che criminalizza una donna che cerca vita e libertà in un paese democratico come lo è la nostra Italia”. Il 26 marzo presidio dei collettivi e dei movimenti davanti al carcere di Castrovillari. Scopriremo quel giorno se c’è un giudice a Crotone. Diverso da quello di Teheran.