La prima visita della presidente del consiglio Giorgia Meloni in Libano coincide con i funerali dei sette giovani soccorritori dell’Associazione medica islamica vittime di un attacco israeliano martedì sera a Hebbarieh, a ridosso del confine sud-est tra i due stati. L’associazione è legata al Jamaa islamiyya (gruppo islamico), parte del blocco sunnita parlamentare libanese, che ha anche un’ala armata. Ieri sera, durante l’iftar (la rottura del digiuno nel mese di Ramadan), l’aviazione israeliana ha colpito un caffè a Naqora, uccidendo almeno quattro civili, e Tayr Harfa, dove ha ucciso due miliziani di Hezbollah e altri tre membri dell’Associazione medica islamica. Il numero dei feriti trasportati all’ospedale di Tiro è ancora da stabilire.

Gli attacchi in Libano si sono moltiplicati dall’inizio dell’anno, quando l’esercito israeliano ha colpito il due gennaio l’ufficio di Hamas a Mshrafieh, quartiere sciita della periferia di Beirut, uccidendo il numero due di Hamas Aruri e sei quadri del gruppo. Da quel momento, sotto tiro o la valle della Bekaa, Nabatieh, Sidone, Tiro e altri luoghi rappresentativi dell’egemonia di Hezbollah. Il partito/milizia sciita rivendica dal canto suo quotidianamente i numerosi attacchi alle postazioni militari israeliane dall’altro lato del confine.

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MELONI HA DICHIARATO due obiettivi in Libano: un tentativo di mediazione tra Libano e Israele e la regolarizzazione dei flussi migratori irregolari, ma non ha fornito dettagli sulle strategie da adottare. Ieri ha incontrato nel Grand Serail il premier libanese Najib Miqati – in serata si è intrattenuta con il suo omologo in una cena informale – e oggi è prevista una visita a Shama per incontrare il contingente Unifil, visita che potrebbe però saltare per motivi di sicurezza. In tal caso dovrebbe incontrare una delegazione Unifil a Beirut.

Sia Miqati che Meloni non hanno rilasciato dichiarazioni ai giornalisti presenti e l’incontro si è tenuto a porte chiuse. «Meloni ha innanzitutto ribadito la volontà dell’Italia di continuare a contribuire alla sicurezza e alla stabilità del Libano, in particolare in questo momento storico. Il bilaterale ha rappresentato l’occasione per portare un messaggio chiaro sulla necessità di evitare ogni rischio di escalation. (…) Il dialogo si è concertato anche sul rafforzamento delle politiche migratorie nel Mediterraneo, con l’obiettivo di coordinare le politiche contro le migrazioni irregolari e il traffico di persone. Infine, vi è stato uno scambio approfondito di vedute al fine di esplorare soluzioni politiche per l’emergenza rifugiati che continua ad affliggere il Libano», la nota di Palazzo Chigi.

L’escalation tanto temuta è molto più che una possibilità remota in Libano. Un cessate il fuoco di Israele a Gaza potrebbe – a detta di molti analisti – significare un’intensificazione del fronte libanese: il premier israeliano Netanyahu troverebbe certamente più legittimazione in un contesto di guerra e quindi emergenziale, rispetto a uno di pace. In un momento in cui la pressione internazionale si fa più forte su una tregua a Gaza, anche in seguito alla risoluzione Onu 2728 di martedì su un immediato cessate il fuoco nel mese di Ramadan, il Libano potrebbe diventare lo scenario di una guerra su scala maggiore.

LO SFORZO della diplomazia – americana, francese in primo luogo, e ora anche italiana – vanno nella direzione di un ridimensionamento del conflitto in Libano anche se Israele finora ha rifiutato ogni sorta di interposizione e i numerosi appelli sono caduti nel vuoto.