Un coro unanime e una sola voce dissonante che da Mosca batte sempre sulla stessa nota: Kiev è coinvolta. Nonostante da Washington al Tagikistan, passando per Bruxelles, tutti si siano ormai convinti della reale colpevolezza dell’Isis nell’attentato alla sala da concerti Crocus di Mosca, il Cremlino non si adegua. Non del tutto almeno. Durante la serata di ieri il presidente russo Putin ha finalmente acconsentito a dichiarare che si è trattato di «estremisti islamici», ma ha poi aggiunto: «Dobbiamo rispondere alla domanda perché i terroristi cercavano di andare in Ucraina e chi li aspettava là». Il capo di stato non ha risparmiato l’ennesima stoccata agli Usa che, a suo dire, «cercano di convincere tutti» che Kiev non ha avuto alcun ruolo nella strage mentre in ogni dichiarazione ufficiale, soprattutto se ad uso interno, i vertici russi inseriscono perlomeno il dubbio di una correità ucraina.

IL FATTO che i presunti terroristi siano stati arrestati a Brjansk, in una zona che permetteva il passaggio a sud verso l’Ucraina, ha alimentato i sospetti e fornito materiale ulteriore a quest’accusa. Per ora non c’è nessuna prova, ma vale la pena confutare qualche elemento. Il confine orientale ucraino è una delle zone più militarizzate al mondo e pensare di passare nei territori dove i due eserciti si confrontano duramente da mesi non è affatto scontato. Dunque, per trovare «una finestra aperta», come la chiamano i vertici politici di Mosca, nel confine ucraino, i fuggitivi avrebbero dovuto optare per le zone più a nord, Belgorod, Kursk o Brjansk, dove, infatti, il commando è stato fermato. A questo punto, come eventuale regione di ingresso in Ucraina, rimarrebbe solo Sumy dato che Kharkiv è bombardata costantemente e in questa regione passano le unità di russi filo-ucraini che combattono contro l’esercito regolare di Mosca. Ma in tal caso la finestra avrebbe dovuto aprirsi prima dal lato russo, il che implicherebbe anche dei complici. Un dato da non sottovalutare è che da Brjansk si può procedere agilmente verso ovest ed entrare a Gomel, in Bielorussia, dove non ci sono neanche dogane in virtù degli accordi di cooperazione tra Minsk e Mosca. Al netto di eventuali informazioni o prove che saranno rivelate in futuro, la «pista bielorussa» sembrerebbe più fattibile e più logica.

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AGGIUNGIAMO che all’inizio si diceva che gli assalitori fossero in fuga su un’auto con targa ucraina, ma poi si è visto che si trattava della stessa Renault (targa della provincia russa di Tver) con la quale il commando era giunto a Mosca ed era poi nuovamente fuggito. Con la stessa automobile gli assalitori in fuga hanno percorso oltre 400 km prima di essere fermati. Verrebbe da pensare che un gruppo che non voglia farsi trovare abbia almeno previsto uno o più cambi di mezzo di trasporto, ma ciò non è accaduto.

Da Mosca apprendiamo che il numero delle vittime continua a crescere, per il momento siamo a 139 accertate, più un centinaio di feriti almeno. A metà giornata un nuovo allarme bomba ha costretto all’evacuazione di un centro commerciale nel centro di San Pietroburgo e poco dopo l’allerta è scattata anche a Mosca. Intanto le indagini continuano e ieri il numero dei fermati è cresciuto: le autorità hanno spiccato mandati d’arresto per tre persone, due fratelli e il loro padre (Islomov Aminchon Isroilovich, Islomov Dilovar Isroilovich e Islomov Isroil Ibragimovic). I due uomini dovrebbero avere passaporto russo ed essere residenti nella regione di Tver, uno come tassista.

DILOVAR ISLOMOV sarebbe stato il precedente proprietario della Renault utilizzata dal commando: la avrebbe venduto una settimana prima dell’attacco, come riporta Novaya Gazeta Europe. In precedenza, il 23 marzo, il tribunale di Basmanny ha nominato gli altri quattro imputati, tutti di nazionalità tagika, di nome Dalerdzhon Mirzoyev, 32 anni, Saidakrami Rachabalizoda, 30 anni, Shamsidin Fariduni, 25 anni, e Mukhammadsobir Faizov, 19 anni. Mirzoyev e Rachabalizoda hanno già hanno ammesso la loro colpevolezza, stando alle dichiarazioni dei funzionari del tribunale, ma dati gli evidenti segni di maltrattamenti qualche voce isolata ha sollevato dubbi sull’eventualità o meno che gli imputati abbiano potuto parlare liberamente. Mirzoyev e Fariduni hanno mostrato segni di forti contusioni, compresi volti gonfi e sopracciglia tumefatte. Rachabalizoda sarebbe invece la vittima dell’ormai tristemente celebre orecchio tagliato, infatti al lato delle sue tempie pendeva una lunga fasciatura, oltre a diversi segni di percosse. Il quarto sospettato, Faizov, è stato prelevato direttamente dall’ospedale dove si trova ricoverato ed è entrato in tribunale in sedia a rotelle.
Il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, si è rifiutato di rispondere alla domanda della Cnn sui segni di violenze sui volti dei presunti terroristi.

LA LINEA DURA è stata sposata totalmente dall’ex presidente e vice-capo del Consiglio di sicurezza russo, Dmitry Medvedev, che tra poco inizierà a invocare il ritorno della forca nelle pubbliche piazze: «Tutte le persone coinvolte nell’attacco al Crocus meritano la morte. Tutti mi chiedono: ‘Cosa fare?’ Sono stati catturati. Complimenti a tutti coloro che li hanno presi. Dovremmo ucciderli? Dovremmo farlo. E lo faremo. Ma è più importante uccidere tutte le persone coinvolte. Tutti. Chi li ha pagati, chi li ha sostenuti, chi li ha aiutati. Dobbiamo ucciderli tutti». Dagli anni ’90, tuttavia, nel territorio della Federazione russa vige una moratoria sulla pena capitale e dal 1996 non si giustizia nessuno, seppure il Codice penale preveda ancora questo tipo di pena, con il solo mezzo della fucilazione.