Djibril Sylla è arrivato qualche giorno fa in Italia dalla Francia, dove vive, con un compito: riconoscere il corpo del fratello Ousmane. Il 22enne della Guinea che si è tolto la vita nel Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) di Ponte Galeria il 4 febbraio scorso. Era sbarcato in Italia a luglio 2023, diversamente da quanto si era pensato nei primi tentativi di ricostruirne la storia. La sua morte ha fatto esplodere una rivolta nella struttura detentiva alle porte della capitale. I pm hanno aperto un’inchiesta con l’ipotesi di reato di istigazione al suicidio. Nei giorni scorsi la famiglia ha nominato dei legali perché vuole vederci chiaro, vuole capire cosa è successo.

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Quando ha parlato l’ultima volta con suo fratello?

Il 27 settembre scorso. Mi ha telefonato da una stazione dei treni, senza dirmi quale. Era completamente nel panico perché lo aveva fermato la polizia. Mi chiedeva di trovargli un avvocato, temeva lo trattassero male. Da quel giorno è riuscita a parlarci solo mia sorella, un paio di volte. Io mai più.

Perché Ousmane ha lasciato il suo paese?

È difficile rispondere al posto suo. In Guinea i giovani non hanno lavoro, non hanno futuro. Lui voleva vivere i suoi sogni, amava la musica e sperava di riuscire a fare qualcosa per aiutare la nostra famiglia. Della partenza aveva detto a poche persone. Io l’ho saputo quando era già in Tunisia.

Qualcuno ha detto che era pazzo.

Chi dice che aveva problemi psichiatrici non l’ha mai conosciuto. Ousmane stava subendo una situazione di ingiustizia e provava a far valere i suoi diritti. Quando si lascia il proprio paese e si attraversa l’inferno è possibile trovarsi in grande difficoltà. Soprattutto se nessuno ti aiuta, se non hai un avvocato. Ma il problema non è psichiatrico, è di ingiustizia. Chi dice che era pazzo non si è mai trovato in una situazione simile. Il mio fratellino non aveva mai avuto disturbi psichiatrici, non era mai stato malato.

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Lei sapeva cos’è un Cpr prima di questa vicenda?

No, non ne avevo idea. Ma dopo ho scoperto che Ousmane non è l’unico a essersi tolto la vita in centri di questo tipo. Quindi evidentemente c’è un problema serio. Uno straniero che si trova in una struttura detentiva deve comunque avere dei diritti. È chiaro che c’è una forte ingiustizia.

Suo fratello aveva chiesto di essere riportato in Africa dopo la sua morte. Lo aveva scritto su un muro.

Sì, vogliamo rimpatriare il corpo. L’ambasciata della Guinea non ci sta aiutando, non conosco i loro doveri ma non mi pare facciano abbastanza. Invece abbiamo il sostegno dell’associazione LasciateCIEntrare. Stiamo raccogliendo i soldi necessari a riportare a casa e seppellire il corpo di Ousmane. Ne servono tanti e noi non li abbiamo (in fondo i riferimenti per partecipare alla raccolta, ndr).

Come famiglia cosa chiedete?

Vogliamo capire quali ingiustizie ha subito. Vogliamo sapere cosa è successo.

Per ora si sa soltanto che si è suicidato.

Non è facile per me parlare di questo. Quello che posso dire è che il mio fratellino non avrebbe mai attraversato tutte le sofferenze che ha attraversato per suicidarsi in Europa. Se davvero lo ha fatto ci sono delle ragioni. Ragioni che vengono da quei centri e dalla situazione che ha vissuto. Noi come famiglia abbiamo diritto di sapere cosa gli è successo.

Per partecipare alla raccolta fondi per il rientro della salma

MEM.MED MEMORIA MEDITERRANEA ETS

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