«La sperimentazione ozuiana è artistica prima di essere esoterica e religiosa» si legge nelle pagine che David Bordwell da poco mancato, dedica al regista giapponese (Ozu and the poetics of cinema, 1994) la cui opera «di singolarità evidente» è fra le più studiate e amate dalla critica e dai filmmaker nonostante un riconoscimento tardivo in occidente, negli anni settanta, almeno due decenni dopo l’affermazione di altri registi del Sol Levante quali Akira Kurosawa o Kenji Mizoguchi. La ragione va forse cercata nella specifica natura «giapponese» delle sue storie che si pensava fossero inaccessibili a uno spettatore lontano; una lettura che il critico e studioso Shiguehiko Hasumi negli anni Ottanta ribalta in senso opposto: «L’immagine di Ozu, sottile e audace, non è mai impregnata del lirismo della retorica tradizionale giapponese» dice, puntando quindi ai gesti del cinema di Ozu, al suo movimento quotidiano (Directed by Yazujiro Ozu). «Gli stranieri un giorno capiranno i miei film. O forse no …» aveva detto poco prima di morire – a sessant’anni, nel 1963 – lo stesso Ozu. Di certo la sua opera, è stata fondamentale per la modernità cinematografica, grazie anche a registi come Wim Wenders – che al mondo di Ozu ha dedicato sin dal titolo il suo primo on the road in Giappone, Viaggio a Tokyo, e in Perfect Days ritrova il paesaggio umano del regista giapponese – o Claire Denis, Paul Schrader, Jim Jarmusch, ai filosofi come Deleuze, per i quali quel suo modo di filmare il mondo è diventato un punto di riferimento, una fonte costante di ispirazione.

NATO a Tokyo nel 1903, Yasujiro Ozu cresce a Matsusaka, vicino a Nagoya dove scopre cinema, in particolare quello hollywoodiano, coi film di Chaplin, Murnau e Lubitsch, che dirà poi era diventato il suo regista preferito. Nel 1927 realizza il suo primo film, La spada della penitenza, scritto da Kogo Noda, che diventerà il suo sceneggiatore abituale, e da lì costruisce film dopo film quel suo universo a poetico in cui si interroga il rapporto tra società e individuo, tra individuo e famiglia e tra generazioni all’interno di una forma e di una messinscena di potente emozione.

La redazione consiglia:
Ozu, l’artigiano del vedereUn’occasione imperdibile per scoprire o rivedere i film di Ozu arriva da Fuori orario che a partire dal prossimo venerdì 29 marzo (dalle 01.40, Raitre) propone fino al 7 aprile undici titoli dell’ultimo periodo di produzione del regista (1948-1962), restaurati dalla Shochiku, la casa di produzione per la quale ha continuato sempre a lavorare, e distribuiti in sala in Italia da Tucker.
Col titolo Ancora e sempre Ozu – La trasparenza, un altro mondo e lo stesso, l’omaggio vuole dialogare con quel Tutto Ozu del 2003, in cui Enrico Ghezzi presentò sempre a Fuori orario 33 film di Ozu, tutti quelli che erano reperibili allora. L’idea è quella di continuare l’esplorazione dell’immaginario del maestro del cinema giapponese classico all’interno di una continua riscoperta, di «una ricerca in progress» che, come si legge nel comunicato del programma «serva a sfatare i tanti luoghi comuni con cui anche gli estimatori più sinceri hanno avvolto e frainteso l’opera del cineasta, ben più ricca, variegata e complessa di quanto si pensi ancora oggi generalmente». Si comincia con Tarda primavera (1949) e Inizio d’estate (1951), il primo ha come protagonisti un padre, rimasto vedovo, e la figlia che non vuole sposarsi; Inizio d’estate invece entra nel microcosmo di una famiglia di Tokyo la cui vita viene sconvolta quando una delle figlie rifiuta il matrimonio combinato. Hara Setsuko, l’attrice prediletta dal regista che interpreta la «ribelle» , si accorda a una narrazione ironica, e malinconica al tempo stesso, attraversata dal sentimento mutevole della vita. Sabato 30 marzo (dalle 02.25), si vedranno Gallina nel vento (1948) e Inizio di primavera (1956), tutti i film della rassegna saranno disponibili dopo la programmazione su RaiPlay per 14 giorni.