Ogni giorno dovrebbe essere il 25 aprile. È scontato pensarlo? No, è l’unico modo di fare memoria senza essere ipocriti. Trasformiamo il calendario e togliamo tutte le altre date, e facciamo un anno di trecentosessantacinque 25 aprile: 25 aprile oggi, 25 aprile domani, dopodomani e così via. Ogni giorno dovrebbe ricordarci che la nostra fragile, zoppicante, maldestra, e troppe, troppe volte corrotta democrazia, nasce dalla resistenza contro un regime che aveva cominciato sacrificando i veri democratici, i Matteotti e i Gobetti e i Don Minzoni, e lo aveva fatto nel silenzio assordante dei poteri dell’epoca, lo aveva fatto con la violenza dei manganelli, un regime che, coerente con se stesso, ha poi finito sacrificando un intero paese nel massacro della guerra.

Ogni giorno dovrebbe essere una rinascita. Ogni giorno dovremmo alzarci con l’animo lieto e coraggioso di mostrare al mondo – e a noi stessi – che la Resistenza la si celebra in un solo modo: resistendo. E cosa significa resistere? Cosa significa se non «piantare il melo anche se domani scoppiano le bombe», come diceva Martin Luther King: cos’è lo spirito del 25 aprile, se non è questo? Se non piantiamo il melo, oggi e domani e dopodomani, non ci sarà festa in piazza che ci salverà; se non lavoriamo con onestà e giustizia ogni giorno, nei nostri luoghi di vita e lavoro, nelle scuole, nei teatri, nelle fabbriche, negli ospedali, nei mondi della comunicazione, nelle stanze della politica, se non facciamo le scelte giuste – e solo noi possiamo sapere quali siano quelle giuste, interrogando ogni giorno la nostra coscienza, come facevano i partigiani lassù in montagna – se non facciamo di ogni giorno della nostra vita un inno alla bellezza, alla trasformazione del mondo e della nostra anima, tutto sarà vano.

ANDIAMO pure a gridarlo nelle strade di Milano, il desiderio di una vita degna, andiamo pure a sfidare i poteri che questa data vorrebbero eliminarla dal calendario, i poteri che vanno erodendo – in modi diretti e in modi subdoli – gli spazi di democrazia nel nostro paese, ma se non saremo capaci di farla degna noi, ogni giorno, quella memoria di resistenza, attenti alle responsabilità quotidiane, attenti alle nostre azioni, non alle nostre chiacchiere, chiacchiere e distintivo, tutto sarà vano. È scontato dire e dirci questo? Ma certo, certo che è scontato, è scontato fino alla nausea, è assodato, è indubbio, è prevedibile, è pronosticabile fino alla noia. È antico come le montagne.

*Ermanna Montanari, autrice e attrice, e Marco Martinelli , regista sono fra i fondatori del Teatro delle Albe di Ravenna