Francesco Petrarca ritratto da Altichiero da Zevio in una copia manoscritta (Padova 1379) del suo “De viris illustribus”, Parigi, BnF
Desiderio da Settignano, “Giulio Cesare”, c. 1455, Parigi Louvre

L’invention de la Renaissance L’humaniste, le prince et l’artiste è una mostra che racconta la nascita, l’affermazione e la diffusione di quel rinnovamento intellettuale, artistico e scientifico designato dagli studiosi con il nome di Rinascimento. Curata da Jean-Marc Chatelain e Gennaro Toscano, e presentata nella galleria Mansart del sito Richelieu della Bibliothèque nationale de France di Parigi, dove è visitabile fino al 16 giugno 2024, l’esposizione narra l’avvento della cultura umanistica in Italia e poi in Francia tra i secoli XIV e XVI.
A essere presentate al pubblico sono oltre duecento opere di qualità elevatissima, distribuite in più sezioni tematiche che danno vita a un percorso ben strutturato. Protagonisti assoluti sono i libri, sia manoscritti sia a stampa, disposti lungo l’intero itinerario di visita e costantemente affiancati a opere d’arte di vario tipo, come dipinti, sculture, incisioni e medaglie. La creazione di un intreccio così affascinante e potente in termini visivi è un apprezzabile effetto scenico, funzionale non solo a sottolineare la continuità fra le diverse tecniche artistiche, ma anche a evocare la ricchezza materiale degli studioli rinascimentali, veri e propri contenitori di oggetti disparati e ricercati. La mostra prende quindi avvio proprio con l’evocazione di uno di questi ambienti, nella consapevolezza che essi, casa delle lettere e delle arti, costituirono l’autentico cuore pulsante della riscoperta delle humanae litterae.
La rassegna sottolinea in particolare la novità della figura di Francesco Petrarca, impegnato tra il secondo e il terzo quarto del secolo XIV nella ricerca di codici contenenti opere di autori classici, riuniti nella sua casa di Arquà. Ben documentato è inoltre l’impegno del poeta in veste di studioso, perché il visitatore è guidato alla scoperta di alcuni dei libri più preziosi della sua biblioteca, identificabili per mezzo di annotazioni autografe. Come sottolineato dai curatori, tali note sono determinanti per comprendere il dialogo ideale intrattenuto da Petrarca con gli autori del passato, ritenuti portatori di una saggezza capace di guidare l’agire umano in ogni tempo. Quest’inedita convinzione, rivelatrice di una visione positiva dell’uomo come essere dotato di dignità e libertà proprie, è incarnata da opere come l’incompiuto De viris illustribus, una raccolta di biografie di uomini famosi dell’antichità. Non è forse un caso che sia proprio una splendida copia manoscritta di quest’opera a contenere il più antico e fedele ritratto di Petrarca (celebre già in vita), che colpisce lo spettatore odierno soprattutto per l’autorevolezza e l’austerità che il pittore Altichiero riuscì a conferire alla sua figura (BnF, Mss., Latin 6069 F).
Sull’esempio petrarchesco, gli studia humanitatis conobbero dunque nuova vita e, grazie a umanisti come Poggio Bracciolini, furono scoperti importanti testi classici fino ad allora sconosciuti. In questo modo, nel secolo XV la biblioteca si andò sempre più connotando – e l’esposizione lo dimostra con chiarezza grazie ad approfondimenti mirati di grande impegno – come un vivace laboratorio editoriale. Infatti, il lavoro sui testi, copiati, commentati, tradotti e preparati per la diffusione (da un certo momento in poi pure a stampa), fu pressoché costante. Testi filologicamente corretti divennero il cardine di un nuovo tipo librario, ovvero il codice umanistico, caratterizzato anche da una nuova scrittura, la littera antiqua, messa a punto da Coluccio Salutati e Bracciolini, e un nuovo tipo di ornamentazione, i bianchi girari, entrambi ripresi da codici creduti antichi, ma, in realtà, dei secoli XI-XII. La mostra dà quindi ampio spazio soprattutto ai cambiamenti che nel tempo interessarono la decorazione, perché il recupero dell’eredità classica si tradusse presto nell’appropriazione del repertorio figurativo dell’antichità da parte degli artisti.
Nacque così un linguaggio di ispirazione antiquaria, rappresentato nell’esposizione da una selezione di manoscritti miniati di grande impatto ed eccezionale pregio. Tra questi, si deve citare il monumentale codice con la Cosmographia di Tolomeo, in traduzione latina, di Alfonso d’Aragona duca di Calabria, nella cui pagina d’incipit, opera del miniatore Francesco Rosselli, figurano tabelle epigrafiche, putti, serti e corone di alloro, oltre allo stemma e a varie imprese del committente (BnF, Mss., Latin 4802).
Libri di questo tipo, come posto bene in luce dai curatori, ebbero ampio successo presso i signori dei vari Stati della Penisola, che sin dalla prima ora avevano subito il fascino e intuito il potenziale della cultura umanistica: si pensi soprattutto agli exempla offerti loro dai classici, visti come modelli da imitare per autolegittimarsi (‘politica della virtù’). Attraverso i libri, i signori del Rinascimento diedero vita a grandi biblioteche principesche aperte a ospiti selezionati e agli umanisti della loro corte. Spesso impreziosite da ritratti degli eroi del passato e del presente, oggetti archeologici e altre opere d’arte, queste biblioteche di corte acquisirono la fondamentale funzione simbolica di rappresentare il loro potere e il loro prestigio.
Come illustrato in chiusura della mostra, tale modello di biblioteca si diffuse nel resto dell’Europa tra i secoli XV e XVI. Esso ebbe fortuna in particolare in Francia, dove vari sovrani cercarono di creare una grandiosa biblioteca reale. Riuscì nell’impresa il re Francesco I, che inaugurò una florida stagione artistica e fu il vero motore della diffusione del Rinascimento in terra d’Oltralpe. Egli riorganizzò nel Castello di Fontainebleau la biblioteca reale, facendo leva sui ricchissimi fondi ereditati dai suoi predecessori Carlo VIII e Luigi XII, che durante le campagne italiane avevano portato via ampie porzioni della Biblioteca Aragonese di Napoli e della Biblioteca Visconteo-Sforzesca di Pavia. Attraverso questa strada, erano giunti in Francia anche molti dei volumi di Petrarca (da lui lasciati ai Carraresi, ma poi in parte prelevati da Gian Galeazzo Visconti nel 1388), fondatore della cultura umanistica e vero filo conduttore di tutta la mostra.
Il percorso espositivo delineato dai curatori procede dunque mediante una narrazione lineare e avvincente, ma soprattutto metodologicamente rigorosa, che accompagna il visitatore in modo graduale e progressivo alla scoperta dell’Umanesimo e del Rinascimento. Il quadro storico-culturale che emerge non cede a semplificazioni e presenta il fenomeno in tutta la sua complessità e ampiezza, con le aree veneta e toscana che funsero da culla e l’intero territorio peninsulare che fu il privilegiato campo di azione e continua rielaborazione della cultura umanistica.
Infatti, grazie all’esempio di Petrarca, la ripresa dei classici e la rinascita dell’Antico coinvolsero, secondo interpretazioni di volta in volta diverse, tutti i principali centri e i libri, veicolo di testi dal valore universale e dai significati sfaccettati, circolarono pressoché dovunque, riuscendo in definitiva a far cambiare in profondità il loro tempo.