Il governo Renzi sarà ricordato per l’istituzione del «preside manager», una figura di padre-padrone dotato del potere di chiamata diretta dei docenti, ma anche di quello di conferire un aumento stipendiale, dopo avere consultato gli organi del suo istituto. Lì dove non è riuscito Berlusconi e Gelmini, con il Ddl Aprea, lì è arrivato il governo guidato dal Pd che realizza un vecchio sogno ricorrente: quello di una scuola compiutamente aziendalista, gerarchica e produttivistica. Ma non basta: a questo dirigente dotato di super-poteri verrà concessa la parola finale sulla formazione dei docenti che avverrà nell’istituto dove lavora.

Gli aumenti di stipendio basati sul «merito» saranno conferiti dal preside in base «ad un raking degli insegnanti e dei team dei docenti che lui avrà scelto» ha detto ieri il presidente del Consiglio Matteo Renzi nel corso di una conferenza stampa. A questo proposito, una frase pronunciata dal ministro dell’Istruzione Stafania Giannini in un question time ieri alla Camera, è utile per spiegare questa trasformazione genetica delle forme democratiche nella scuola. L’autonomia funzionale e organizzativa delle scuole sarà «fortemente collegata al potenziamento delle responsabilità del dirigente scolastico». Al preside saranno inoltre attribuiti strumenti sia finanziari sia funzionali collegati a un piano di valutazione dei docenti scelti sulla base di un «progetto educativo» e al piano triennale dell’offerta formativa.

Questa trasformazione era già contenuta nelle «linee guida» della «Buona Scuola» presentata il 3 settembre 2014. Il governo ha fatto tuttavia inversione a «U» rispetto ai tanto decantati «scatti di merito» che avrebbero dovuto trasformare radicalmente la carriera dei docenti. Dopo la sonora bocciatura di questo progetto avvenuta nella consultazione online (il 60% ha votato complessivamente contro) il governo ha mantenuto gli «scatti di anzianità». «Il provvedimento è stato molto contestato – ha ammesso per la prima volta Renzi – La scuola sarebbe stato l’unico settore della Pubblica amministrazione ad averli». Il presidente del Consiglio ha inoltre definito «speciose» le critiche di chi ha descritto la sua sconfitta politica sulla «meritocrazia» annunciata per sei mesi e poi ritirata davanti alla sua manifesta incostituzionalità.

In realtà si tratta di una battuta d’arresto clamorosa che rappresentava il pilastro della riforma insieme alle assunzioni dei precari. In più, a conti fatti, si sarebbe trattato di aumenti risibili. Scegliere di tornare agli scatti di anzianità non risolve granché. Il contratto nazionale della scuola è bloccato dal 2009. E sembra che lo resterà a lungo. Il sovradimensionamento del ruolo del dirigente scolastico è il segno che il governo non si è tuttavia rassegnato e continua a perseguire il suo progetto neo-manageriale. Nel 2016 sono previsti 200 milioni di euro per la valutazione del merito dei docenti: «Decideranno le singole autonomie scolastiche».

L’altro capitolo, spinosissimo, è quello delle assunzioni. Dalle 148 mila annunciate a settembre il governo ha fatto marcia indietro e assumerà 107 mila docenti precari nelle Graduatorie ad esaurimento (Gae), comprensivi degli ultimi vincitori del «concorsone» del 2012. Verranno inseriti nell’organico funzionale. «Le assunzioni saranno la fine di un percorso, non l’inizio» ha aggiunto Renzi in maniera enigmatica. Tra gli assunti non ci sono i 23 mila docenti della scuola dell’infanzia. Per questi ultimi si prepara un purgatorio di un anno e si è rimandato alla legge delega. Nel frattempo gli idonei al «concorsone» promettono ricorsi a valanga contro il governo e il blocco del concorso per il 2016. Cancellate le graduatorie di istituto: «Chi non passerà il concorso andrà fuori e ciao» ha detto Renzi.

È ufficiale: decine di migliaia di docenti titolati, ma che sono rimasti fuori dalle Gae, rischiano seriamente di bruciare anni di studi e lavoro nella scuola. I loro diritti non verranno riconosciuti. Per Renzi «è una rivoluzione strepitosa» che sana una «ferita ventennale». Non la penseranno così i precari apolidi dell’insegnamento. Molti dei quali hanno svolto più di 36 mesi di insegnamento e dovrebbero essere assunti, come impone la sentenza della Corte Ue. Per il governo le assunzioni rispondono a quella storica sentenza. Da oggi non «sarà possibile stipulare contratti a termine superiori a 36 mesi» ha aggiunto Giannini.

Insieme alla promessa di eliminare le «classi pollaio» e un bonus per i docenti da 50 euro al mese (500 all’anno) per consumi culturali e aggiornamento professionale (teatro, cinema e acquisto libri) che ricorda gli 80 euro dell’Irpef, il governo conferma il regalo alle scuole paritarie (a maggioranza cattolica). Anche qui c’è stata una parziale marcia indietro:durerà fino alla terza media. Confermato lo «School bonus» con credito di imposta per chi investe nella scuola e la possibilità di destinare il 5xmille al singolo istituto.

Al parlamento vengono lasciati tempi ridottissimi per l’approvazione del Ddl. Renzi si è detto «ottimista» sui tempi. Resta sembra in ballo un decreto d’urgenza sulle assunzioni se le camere non risponderanno al ricatto. Prevista anche una legge delega per la creazione di un testo unico.