Ieri mattina se ne è andata Giuseppina Ciuffreda, nostra amatissima compagna. Ci ha lasciato dopo aver lottato a lungo contro un tumore, che, tuttavia, e per fortuna, ancora negli ultimi anni le aveva consentito di riprendere la collaborazione con il giornale, dal 2011 fino al 2013, attraverso la sua rubrica «Ambiente viziato».

Giuseppina è stata una delle fondatrici del Manifesto, il gruppo politico a cui aderì dopo la radiazione dalla federazione romana del Pci e con lei ho, abbiamo, condiviso la scoperta e l’impegno nel movimento femminista, camminando insieme per tanti anni attraverso le vicende della politica e della vita.

L’ultima volta, appena giovedì scorso, la sua voce al telefono era, come sempre, forte e vicina: «Questa idea di una campagna per restituire il credito ai greci mi piace molto». E moltissimo le piaceva anche l’ultima enciclica del papa, «E’ un documento politico, una cosa molto importante». Come sempre, com’era suo costume, amava approfondire, leggere le carte di prima mano, e così aveva parlato dell’enciclica con qualche amico, personalità di spicco della cultura tedesca, in qualche modo partecipi della preliminare raccolta di materiali propedeutici alla stesura di «Laudato si’».

Giuseppina Ciuffreda era una donna colta, vivace, forte, di quella specie rara di persone dove passione e informazione si incontrano in felice connubio. Amica di Alexander Langer, aveva inaugurato proprio sul manifesto, negli anni ’90, una rubrica, «Che aria tira», dedicata all’ecologia, una piccola perla di quelle che ogni tanto riusciamo a regalare ai lettori. Per ricordarla oggi ripubblichiamo alcune delle più recenti, una scelta difficile, andrebbero rilette tutte.

L’ecologismo era il punto di vista, la lente attraverso cui osservare il mondo di oggi in ogni suo aspetto, sociale, politico, naturalistico, spirituale. Un compendio di approfonditi studi e lunghi viaggi.

Perché Giuseppina è stata anche una infaticabile giramondo, abitudine che aveva coltivato lavorando alla sezione esteri del giornale (fu una delle prime inviate ad arrivare a Bucarest poco prima della destituzione di Ceaucescu, così come fu lei a raccontarci la Polonia di Solidarnosc). Sfogliando la sua ricca antologia di articoli si viaggia moltissimo, dall’Arizona al Venezuela, dalle Galapagos al Giappone, in alto nella biosfera e nelle profondità dei mari, tra i fiori di bergamotto e le balene dell’Antartide, ma anche nei piccoli parchi di quartiere, nelle nostre malsane città. Trovando la sua penna sempre accanto ai poveri del mondo e sempre affilata contro i potenti.

A un certo punto vivere nel nostro paese le era diventato quasi insopportabile, e prima d’esser costretta a un riposo forzato, era stata “esule” felice, tra Londra e Berlino dove le amiche si davano il turno per godere della compagnia di un Cicerone così caro e prezioso.

La cultura dell’Ottocento romantico inglese l’affascinava, era una fan dell’utopia di William Morris, rampollo di una ricca famiglia borghese, poeta, visionario, fondatore del movimento Art and Crafts e poi dell’Art Nouveau, animatore della lega socialista e tra gli autori di riferimento del movimento New Age anglosassone. Per dire: prima di tornare a Roma, le sterline rimaste Giuseppina le spende tutte, senza esitare, per acquistare proprio un enorme (e costoso) volume di Morris.

«La sordità dei politici e l’ascolto attivo degli artisti – scrive in uno dei suoi articoli – è quel che accade oggi nel mondo ma forse è sempre stato così. Le grandi crisi e i passaggi d’epoca sono segnati dalle intuizioni di poeti, scrittori, filosofi, scienziati e intellettuali che sanno cogliere lo spirito del tempo nuovo, lo nutrono, e lo diffondono con le loro opere». Scorrono i nomi di Joseph Beuys, fondatore anche dei Verdi tedeschi e famoso per il gesto artistico di piantare 7.000 querce a Kassel, in luoghi decisi da cittadini e enti locali. Accanto a Frans Krajceberg, sopravvissuto all’Olocausto, amico di Chagall, Braque e Picasso che lavora in Brasile e scolpisce l’Amazzonia che brucia. Fino a Michelangelo Pistoletto, protagonista dell’arte povera italiana nata negli anni Sessanta, in anticipo sui tempi.

Continua e inflessibile è stata la sua battaglia contro l’archeologia dello sviluppismo, come quella a difesa delle alternative sostenibili, refrattaria alle ideologie dei massimi sistemi e invece sempre attenta ai gesti quotidiani.

Per questa sua infaticabile opera di «civilizzazione» della sinistra nessun aspetto della società poteva essere trascurato perché attraverso la sua lente ogni cosa andava interpretata: dall’immigrazione, all’evoluzione della città, dalle primarie del Pd, alla vicenda dell’Ilva, dalla pedagogia montessoriana, all’analisi delle parole.

Una delle ultime e rare passeggiate l’avevano portata, in un freddo pomeriggio di marzo, in una sala del Campidoglio per ricevere il premio speciale «Carla Ravaioli» in giornalismo ambientale, assegnatole dall’associazione «A sud» («le nostre figlie quelle che continueranno il nostro lavoro») in collaborazione con la Casa Internazionale delle donne, con il patrocinio di Comune e Regione. Un premio dedicato alla figura di una grande keniota scomparsa, Wangari Muta Maathai, nobel per la pace nel 2004, attivista ecologista, fondatrice del Green Belt Movement.

Giuseppina Ciuffreda era tutto questo, e molto di più. Perché insieme e accanto al dirigente politico e all’intellettuale c’era la donna, l’amica di una vita.

Cara Giusy, insieme alla ricchezza di un intenso e bellissimo rapporto ci lasci in un grande dolore. Il nostro cuore è oggi il paese più straziato.

I funerali si terranno domani, 9 luglio, nella chiesa di S. Maria Addolorata all’Esquilino, alle ore 12, in via San Quintino 4, Roma.