Tra le maestose costruzioni del Foro Romano, la Colonna di Foca non è certamente la più nota. Malgrado si erga per un’altezza di quasi quattordici metri, non è ai suoi piedi che le migliaia di visitatori dell’area archeologica centrale di Roma indugiano per scattare una foto iconica, come quelle che, a poca distanza da lì, usano fare davanti all’Arco di Settimio Severo.

Eppure, questa colonna corinzia scanalata di marmo proconnesio non è una rovina qualunque. Datata al II secolo, nel 608 d.C. venne reimpiegata dall’esarca di Ravenna Smaragdo per esaltare la generosità dell’imperatore Foca. Sulla sommità si trovava la statua dorata del sovrano bizantino, probabilmente rimossa subito dopo la dedica.

La Colonna di Foca fu l’ultimo monumento onorario del Foro e già questo basterebbe a decretarne l’alto valore storico e simbolico. Nel confrontare, poi, un disegno del 1771 di Victor-Jean Nicolle con un’odierna cartolina, non si può che constatarne la persistenza in un paesaggio radicalmente trasformato.

Oggi il Foro Romano si presenta infatti nell’aspetto che ha assunto a partire dall’Unità di Italia, dopo una lunga successione di scavi e restauri durati per tutto il Novecento e ancora in fieri: un palinsesto architettonico in cui è possibile osservare e ammirare le vestigia dell’antico caput mundi nelle loro svariate e mutevoli forme.

Pochi però conoscono l’immagine di questi luoghi prima del debutto delle indagini stratigrafiche, quando l’area appariva come uno scenario semi-rurale ai margini della città abitata.

È precisamente a questo tema che è dedicata la rassegna Lo sguardo del tempo. Il Foro Romano in età moderna, allestita nel Tempio di Romolo. Ufficialmente aperta fino al 28 aprile, diventerà in futuro – su progetto della direttrice del Parco del Colosseo Alfonsina Russo – una sezione permanente del Museo del Foro.

La mostra, curata dalla stessa Russo con Roberta Alteri e Alessio De Cristofaro, ha l’obiettivo di introdurre il pubblico all’esplorazione del Foro attraverso un cospicuo numero di testimonianze iconografiche – disegni, stampe, dipinti, fotografie, filmati – proposte in copia o in formato digitale. Una scatoletta ottocentesca in micro-mosaico con la piazza del Campidoglio è invece una delle tante preziosità che, assieme a maioliche e curiosi ventagli, compongono una piccola raccolta di «oggetti-memoria» legati alla cultura materiale del Grand Tour. Nelle vetrine non mancano gli attrezzi di lavoro – come un teodolite Salmoiraghi risalente à metà Novecento – di chi operò nel Foro.

Il percorso espositivo debutta con il Cinquecento, quando Roma è un vivace «cantiere» animato da artisti e architetti del calibro di Raffaello, Bramante e Michelangelo. Il Foro Romano e il Palatino costituiscono in quell’epoca zone periferiche, occupate da chiese di origine tardo-antica e medievale (in mostra i disiecta membra dalla demolizione di Santa Maria Liberatrice), caseggiati, pascoli e vigne.

La memoria dell’Antico è rappresentata da monumenti diroccati, che antiquari come Pirro Ligorio studiano e identificano sulla scorta delle fonti letterarie. Mentre gli artisti traggono ispirazione dalle rovine, papi e notabili romani usano questi spazi come cave di materiali pregiati per ricoprire di magnificenza ogni edificio.

Nel 1536, con il trionfo celebrato nel Foro da Carlo V dopo la vittoria sugli Ottomani a Tunisi, il cuore della città antica riprende a segnare i ritmi della città moderna. Nella superba Roma delle chiese, dei palazzi e delle fontane, il Foro e il Palatino rimangono ai margini della città abitata assumendo però l’aspetto di un paesaggio irripetibile. Sul Palatino, cinti da mura, sorgono gli Horti Farnesiani, tra i più celebri giardini al mondo.

Nel Foro Romano, il cammino trionfale di Carlo V viene tramutato in uno sfarzoso viale alberato, le chiese rinnovate secondo i canoni del tardo rinascimento o del barocco. L’area archeologica è lasciata libera al transito delle greggi e delle mandrie (Campo Vaccino) e alla vita quotidiana del popolo romano.

Questo «quadro» verrà declinato in chiave eroica e pastorale da Poussin, Lorrain e Dughet. Più tardi, come scrivono nei sintetici ma efficaci pannelli didattici Alteri e De Cristofaro «Roma antica si fa teatro per la conoscenza di usi, costumi, idee e sentimenti che, messi a confronto con il presente, formano e preparano l’uomo del Settecento alla vita».

Istruiti grazie ai tanti libri illustrati disponibili sul mercato, i rampolli del Grand Tour vagano per il Foro romano, il Palatino e la Valle del Colosseo alla ricerca di un contatto diretto con l’Antichità. Un’esperienza che oggi si vuole riproporre con linguaggi e strumenti aggiornati, stimolando una visita del Foro Romano che non sia stereotipata e insegni a guardare oltre l’estetica dei monumenti per carpirne le vicissitudini attraverso i secoli.