Nel discorso pubblico su ciò che rallenta l’abbandono delle fonti fossili, nonostante il fatto che le rinnovabili siano ormai più economiche, vengono giustamente sottolineati con forza gli interessi dei grandi produttori e il loro impegno nel condizionare le scelte politiche e l’opinione pubblica. Parallelamente, vengono però evidenziate anche le non poche difficoltà comunque connesse con le rinnovabili: la disponibilità degli spazi in cui installare gli impianti eolici e fotovoltaici, gli inconvenienti legati all’utilizzazione di biomasse e all’idroelettrico, e soprattutto i gravi problemi connessi con il reperimento delle materie prime necessarie per la produzione e l’immagazzinamento dell’energia da fonti rinnovabili (su cui Giorgio Vincenzi ha recentemente scritto su queste pagine ).

SI TRATTA DI ARGOMENTI SPESSO UTILIZZATI, in maniera strumentale, da quanti sono determinati a rinviare il più possibile l’abbandono del fossile; ma che hanno purtuttavia una loro indiscutibile validità. Per questo ogni serio discorso sulla necessaria transizione alle rinnovabili deve prevedere anche una riduzione della quantità di energia di cui riteniamo di aver bisogno, nella direzione della «sufficienza energetica» di cui ha scritto qui Osman Arrobbio.

AL PERSEGUIMENTO DI TALE OBIETTIVO si frappongono però, oltre agli interessi economico-politici legati al fossile, anche ostacoli di tipo psicologico e culturale, che hanno a che fare con il rapporto che negli ultimi due secoli abbiamo sviluppato con l’energia, in termini di percezioni, aspettative e modelli di comportamento. Senza nulla togliere al ruolo degli interessi economici e politici, occorre considerare che essi possono concretamente realizzarsi anche perché il nostro stile di vita, insieme alle nostre stesse modalità di pensiero, risultano profondamente marcati dall’abitudine che abbiamo sviluppato ad utilizzare, senza neanche rendercene conto, una sterminata quantità di energia.

L’APPROVIGIONAMENTO DI ENERGIA, che è stato sempre una delle preoccupazioni principali degli esseri umani nella loro storia, con l’avvento delle fonti fossili ha semplicemente cessato di essere un problema, e l’ampia disponibilità di energia è diventato un fatto scontato, completamente delegato alla tecnica e presente come accompagnamento costante e invisibile della nostra vita quotidiana.

INOLTRE, COME CI RICORDA Andreas Malm (Fossil Capital, Verso, 2016), fin dalla sua prima apparizione, nella forma di carbone per il riscaldamento e per l’alimentazione delle macchine a vapore, l’energia da fossili ha contribuito a costruire un sistema valoriale fondato sulla velocità, sull’efficienza e sull’iniziativa individuale, svolgendo con ciò una potente funzione di sostegno dell’ideologia liberista della borghesia in ascesa. Ciò ha conosciuto una formidabile accelerazione quando si è poi passati ai motori a combustione interna, quando il petrolio e altri combustibili fossili si sono aggiunti al carbone come fonte di energia e di materie prime, e quando l’elettricità si è imposta, per la sua estrema versatilità, come modo prevalente di trasformazione dell’energia in lavoro utile.

DOPO UN SECOLO E MEZZO di tumultuosa espansione di questi processi, gran parte della nostra esperienza esistenziale si configura in definitiva come un continuo richiamo di tipo ideologico. Ad esempio, i distributori di benzina non si limitano a fornirci il carburante per le nostre automobili, né le strade e i parcheggi si limitano a favorire i nostri spostamenti. Essi in realtà costantemente interpellano (nel senso che Althusser dava a questa espressione, nella sua analisi della dimensione materiale dell’ideologia) la nostra identità, costruita nel tempo intorno all’idea della mobilità individuale motorizzata.

ALLO STESSO MODO, IL PAESAGGIO AGRARIO ci rammenta costantemente e plasticamente, con l’interminabile sequenza delle monocolture intensive, la pervasività del modello di produzione alimentare fondato sulla meccanizzazione e sul massiccio impiego di prodotti chimici, in gran parte derivanti dal petrolio. E così ogni nuova offerta di aumento nella quantità e qualità di funzioni dei nostri elettrodomestici o dei nostri apparati elettronici richiama e ridefinisce la nostra soggettività per come è stata plasmata nella nostra storia recente, individuale e collettiva.

PER TUTTO QUESTO NON ABBIAMO consapevolezza di quanto siano dipendenti da formidabili innesti di energia il nostro stile di vita e l’attuale modello di sviluppo. E ciò non solo in relazione alla produzione, trasporto, funzionamento e smaltimento della miriade di oggetti con cui ci siamo abituati a vivere, oppure agli spostamenti delle persone e alla climatizzazione delle abitazioni; ma anche, a monte di questi processi, rispetto all’enorme quantità di biomassa, materie prime, minerali e metalli che vengono estratti e trasformati per costruire il mondo nel quale viviamo. Tale livello di consumo materiale è un problema in sé, in quanto mette seriamente in pericolo delicati equilibri della biosfera; ma lo è anche per l’immensa quantità di energia che richiede per la sua estrazione e trasformazione, con le conseguenze che conosciamo in termini di rilascio di gas serra.

ALLO STESSO MODO NON SIAMO consapevoli di quanto il nostro spazio esistenziale odierno sia profondamente caratterizzato dai segni visibili di una vita ad alto consumo di energia. Un territorio sempre più cementificato e asfaltato, in cui la moltiplicazione delle strade e dei parcheggi è percepita come espressione di comodità e progresso e quindi come un diritto fondamentale dell’individuo; gli enormi centri commerciali, sfavillanti di luci e di merci e con ampia possibilità di parcheggio, che diventano anche luoghi di intrattenimento; la grande disponibilità di carne e prodotti di origine animale nonché di cibi esotici e fuori stagione, di cui non conosciamo il costo in termini di consumo di energia e impatto ambientale, ma che consideriamo manifestazione tangibile del raggiunto benessere personale e sociale.

TUTTO CIO’ DEFINISCE LO SFONDO indistinto e invisibile della nostra vita quotidiana, che conferma costantemente la nostra identità e la validità dei riferimenti valoriali su cui essa è fondata, e che non viene messo in discussione, in quanto dato per scontato e percepito come ovvio e naturale. Per questo, il processo di transizione energetica in atto dovrà necessariamente riguardare non solo gli aspetti tecnici e quelli socio-politici della decarbonizzazione, ma anche quello che si può definire Il versante psico-culturale della nostra dipendenza dal fossile, chiamando in causa il modo in cui il nostro stile di vita, fondato su una sovrabbondanza di consumi ad alto fabbisogno energetico, si è profondamente radicato nella nostra mente.

* docente di Psicologia dei consumi presso Sapienza Università di Roma