Tutto confermato: per il Tribunale di Torino Maria Edgarda Marcucci, attivista femminista, No Tav, combattente nelle unità femminili curde Ypj nel Rojava, è socialmente pericolosa.

Il contorsionismo giuridico che a marzo di quest’anno le impose la misura della sorveglianza speciale è stato ribadito due giorni fa. Resta in piedi, dunque, l’architettura politica – ben poco giuridica – imbastita dalla Procura di Torino, dalla pm Pedrotta e dalla Digos e che la costringerà fino a marzo 2022 a vivere in semilibertà in assenza di reato e condanna.

Maria Edgarda Marcucci

Unica dei combattenti italiani nel Rojava minacciati di identica sorte (Paolo Andolina, Jacopo Bindi, Pierluigi Caria, Davide Grasso e Fabrizio Maniero) a essere stata sottoposta alla misura introdotta dal Codice Rocco e poi traslata in quello post-fascismo, dal 17 marzo scorso subisce il divieto di uscire di casa dalle 21 alle 7 e di partecipare a ritrovi con più di tre persone, ad assemblee e presidi, il ritiro di passaporto e patente, l’obbligo di dimora a Torino e di portare con sé un libretto rosso in cui la polizia annota ogni controllo.

Anche stavolta le giustificazioni addotte sembrano uscite da un romanzo distopico scritto male. Come raccontano i Comitati torinesi in sostegno all’Amministrazione autonoma della Siria del nord-est, dopo l’ampia mobilitazione civile e gli appelli di personalità della cultura e di giuristi che condannavano l’equazione tra uso delle armi in Siria (contro l’Isis) e la pericolosità sociale in Italia, il giudice ha pensato bene di «lateralizzare la vicenda siriana di Eddi pretendendo che essa, che pure è conditio sine qua non dell’intera iniziativa giudiziaria, abbia ceduto il passo a ben più gravi attività politiche svolte in Italia».

Da cui «la criminalizzazione di attività nobili e pacifiche svolte in Italia», in università, a favore della tutela dell’ambiente, contro l’invasione turca del Rojava e la vendita di armi a paesi coinvolti in conflitti.

Un decreto vuoto di elementi derivanti da processi penali terminati o in corso, ma basato solo sulle segnalazioni di singoli poliziotti, sulle impressioni della Digos. Si arriva ad affermare che Maria Edgarda Marcucci è solo «formalmente» incensurata: nell’opinione di chi la giudica, lo è anche in assenza di un condanna di terzo grado. L’abbiamo raggiunta al telefono.

Nel decreto il giudice “prevede” probabili aggressioni nei bar contro avventori «non in sintonia» con i tuoi orientamenti e parla di intolleranza verso «il libero confronto delle idee» in riferimento all’opposizione a una manifestazione neo-fascista all’università.

Sembra quasi la diagnosi di uno squilibrio.

Che si basa solo su impressioni di singoli poliziotti e su opinioni della Digos.

Esatto. Ma la cosa più inquietante è che sia inquadrato come impedimento alla libertà di espressione l’opporsi alla presenza di un collettivo fascista all’università, un collettivo fascista dichiaratamente tale. È inquietante anche che un giudice metta nero su bianco che è normale che un agente della Digos abbia minacciato di prendermi a schiaffi, così normale da rendere le mie reazioni scomposte. C’è un’attenzione per cose che per chiunque altro sarebbero irrilevanti, non se ne parlerebbe in un’aula di tribunale. Se le fa una persona che loro definiscono in un certo modo acquistano un peso, tanto che si parla di vita criminale interrotta solo dall’anno in Siria, che per me è una provocazione.

Perché la Siria è scomparsa dall’orizzonte?

Viene definitivamente espulso lo scenario siriano, come si era già iniziato a fare durante il processo. Eppure il procedimento è iniziato per quello. Si cerca di espellere tutto quello che ha un’innegabile valore per questa società, come la partecipazione alle Ypj, per poi giudicare non valide le motivazioni politiche dietro il presidio alla Camera di Commercio (uno degli eventi citati dalla Procura, ndr) affermando che era un presidio contro una compravendita di armi che non era in quel momento in corso all’interno dell’edificio. Una precisazione bizzarra, si commenta da sola.

La conferma dell’applicazione della misura è politica quanto lo è stata la sua imposizione originaria?

Tutto si basa sulle impressioni della Digos e di singoli poliziotti e questa cosa viene rivendicata. Non importa se ci sono processi, non conta il peso di certo elementi probatori: il giudice ha la legittimità di ricostruire a suo piacimento i fatti.

È possibile presentare di nuovo ricorso?

Il terzo grado è la Cassazione che però interviene solo se ci sono errori procedurali.

È un precedente pericoloso per qualsiasi forma di attivismo politico?

Questa è l’eccezione torinese: procura e tribunale a Torino fanno politica attiva, fanno sentire il loro peso politico sul territorio comminando anni di galera. Questo decreto è squisitamente ideologico, tradisce un pregiudizio nei confronti di una parte di società che è ben più ampia di quello che loro pensano. Su queste basi potrebbe essere sottoposta a sorveglianza speciale qualsiasi persona abbia praticato una forma di attivismo politico in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento. L’anomalia torinese contravviene allo stato di diritto, credo sia interesse di questo Stato porre attenzione sul fatto che a Torino la situazione è fuori controllo: tra sorveglianza speciale e accuse al movimento No Tav, procura e tribunale sanciscono che non importa cosa si faccia, conta chi lo fa e come loro giudicano la persona.

Crollano i precetti di base della nostra giustizia, come la presunzione di innocenza o la natura non punitiva della giustizia, una giustizia intesa come intervento puntuale sui fatti e non come forma di accanimento. Tutto questo qui non vale. È un precedente inquietante ma sfortunatamente a Torino sta diventando la regola. Si deve intervenire prima che sia tardi, prendendo in esame l’operato dei tribunali e della procura torinesi: se si è No Tav e si è parte lesa, ci mettono anni a mandare avanti un processo; se si è No Tav e si è imputati, si arriva a condanna nel giro di poco. Ci sono velocità differenti e nessuna visione super partes.