Si chiamano Lena-Modotti, Franca Rame, Norina Brambilla, Basaglia, Giulio Paggio. Sono alcune delle brigate di solidarietà nate a Milano subito dopo l’esplosione dell’epidemia. Agiscono all’interno del progetto del Comune «Milano aiuta», con il coordinamento di Emergency e Arci, ma si organizzano in autonomia. All’inizio consegnavano cibo e farmaci a chi non poteva uscire di casa. «Da dieci giorni distribuiamo pacchi alimentari alle persone in difficoltà economica: è stato il boom. Riceviamo fino a mille chiamate al giorno. Copriamo circa 400 famiglie ogni 24 ore», racconta Fabrizio Ungaro. Ha 24 anni e una laurea in scienze politiche. Lavorava a chiamata in una tavola calda. «Ora non più, è tutto chiuso. Sto sempre qui al Lambretta a seguire le attività della brigata Lena-Modotti», continua.

Il Lambretta è un centro sociale occupato in via Edolo, Zona 2. È stato riconvertito nella base operativa della brigata, che raccoglie ormai 230 volontari. La stragrande maggioranza hanno tra 18 e 25 anni. Sono divisi in quattro ruoli: «colletta alimentare» davanti ai supermercati; stoccaggio del cibo e divisione in pacchi; distribuzione nei quartieri; gestione del centralino. «Al centralino bisogna avere il pelo sullo stomaco», ripetono. Le storie che passano per quel telefono disegnano una mappa delle nuove povertà che hanno colpito la capitale economica del Paese.

«La maggior parte lavoravano come domestiche, badanti, operai. Molti in nero, tutti precari già prima. Da febbraio sono disoccupati o lavorano troppo poco per coprire le necessità economiche familiari», racconta Irene Gobber, una delle centraliniste che fanno scorrere il dito sullo schermo per rispondere alle richieste di aiuto. Anche Irene aveva un impiego finito in standby. Anzi due: cameriera e babysitter. Ha 24 anni e studia mediazione linguistica alla Statale. È arrivata al centralino della brigata Lena-Modotti attraverso il collettivo studentesco Fuori Luogo. «C’è una grave emergenza nella comunità filippina – continua – Chiamano tante famiglie con 3, 4, 5 figli. Entrambi i coniugi sono rimasti senza lavoro e non hanno cassa integrazione o altri aiuti del governo. Telefonano anche persone sole e tanti anziani».

Quando squilla il telefono chi è al centralino fa alcune domande e in base alle risposte compone il pacco e definisce un’ordine di priorità. Non si dice di no a nessuno, ma chi ha la cassa integrazione o altre forme di sostegno va dietro a chi non ha niente. «C’è gente che chiama e dice di non mangiare da giorni», raccontano i ragazzi. Nel pacco mettono 1 kg di pasta a persona, 1 kg di riso, scatolame, saponi e detergenti. Quando serve aggiungono assorbenti, pannolini e omogeneizzati. Dove non arriva la colletta alimentare ci pensa il crowdfunding, che in pochi giorni ha messo insieme quasi 25 mila euro. «Con quei soldi compriamo i dispositivi sanitari per i volontari e i beni necessari che scarseggiano», spiega Irene.

Le donazioni seguono tante strade. «C’è stata anche una grande attivazione di quartiere – racconta Fabrizio – Quando i vicini hanno capito cosa stavamo facendo hanno iniziato a organizzare collette alimentari di condominio. La solidarietà è tanta, anche tra chi riceve. Capita così che il migrante senza documenti viene qua e si propone per fare il volontario, nonostante i rischi, o che la persona che riceve il pacco chieda di entrare nella brigata».

Dal Lambretta partono verso Zona 2 e 3, dove si trovano la multietnica via Padova, la stazione centrale, Lambrate e Città Studi. Molte chiamate arrivano dalla Zona 8, dal quartiere popolare di Quarto Oggiaro e dalla periferia nord. Il centralino le smista anche ad altre brigate. Tra queste c’è la Franca Rame. La base è alla «Camera del non lavoro», spazio occupato a gennaio in piazzale Baiamonti (Zona 1) ed esperimento di sindacalismo sociale, cioè di sostegno a tutto tondo a lavoratori e precari con il sindacato Adl Cobas Lombardia. La rivendicazione del reddito di quarantena è nata da queste parti. «Anche in Zona 1, più benestante, si ascoltano storie assurde, come quella di una badante rimasta senza un euro perché i datori di lavoro sono in quarantena alle Maldive e non la pagano più», dice Misia Donsuso. Studentessa-lavoratrice 21enne ormai disoccupata, Misia coordina la gestione del magazzino. «Qui fanno tappa molti rider e persone che vivono condizioni di indigenza per la prima volta», continua.

La prospettiva della crisi economica che segue a ruota quella sanitaria, e a cui le misure del governo non hanno dato risposta, si vede bene dal grandangolo delle organizzazioni che da più tempo sostengono i settori fragili della popolazione meneghina. «Dal primo marzo i nostri otto empori solidali hanno distribuito il 50% di generi alimentari in più e le persone che ne fanno richiesta sono cresciute del 30%», afferma Luciano Gualzetti, direttore della Caritas Ambrosiana. L’arcivescovo di Milano Mario Delpini ha anche attivato un fondo straordinario per chi perde il lavoro durante la crisi.

«Non facevamo interventi di prima necessità – dice Cesare Mariani, volontario dell’associazione laica Naga – Con il blocco, però, ci sono arrivate sempre più richieste». Dopo alcune grandi consegne di cibo e vestiti in insediamenti informali e occupazioni abitative anche il Comune si è deciso a intervenire. «Ma ormai il servizio comunale è in sovraccarico», continua Mariani. Le risorse sono inferiori alle necessità e una parte delle 20 mila domande per i bonus spesa rischia di rimanere inevasa. A Milano sono stati assegnati 7 milioni. «Non bastano e alcune categorie ne sono comunque escluse – afferma Mariani – Le brigate sono importanti perché sono uno strumento di intervento rapido per chiunque chieda aiuto».