In 48 ore la proposta di referendum sulla cannabis ha raccolto 250mila firme online. A questi ritmi la quota necessaria di sottoscrizioni sarà raggiunta entro la fine della settimana.

Nel merito questo successo dimostra quanto sia popolare il tema della depenalizzazione della coltivazione e dell’uso della cannabis. E’ uno schiaffo al parlamento che per anni ha evitato di discuterne. Nel metodo il fatto che sia adesso possibile fare in quattro giorni quello che per la Costituzione può essere fatto in tre mesi è una rivoluzione. Non senza qualche conseguenza problematica.

Il tetto delle 500mila firme necessarie per chiedere il referendum abrogativo, da raccogliere secondo modalità barocche mai aggiornate a dimostrazione della ostilità di fondo del legislatore per questa forma di democrazia diretta, è servito a garantire una almeno minima rappresentatività dei promotori.

Negli anni quesiti sulla carta assai popolari, magari perché formulati in modo da assecondare le pulsioni più immediate dell’elettorato, non hanno superato lo scoglio della raccolta firme. Né d’altra parte si può dire che questo abbia limitato eccessivamente i referendum, visto che dal 1974 – l’anno in cui tardivamente si è tenuta la prima consultazione – al 2016 le firme necessarie sono state raccolte per 69 quesiti (in media 1,6 l’anno).

Il referendum è (quasi) sempre stato l’iniziativa di una minoranza (così è stato pensato), ma una minoranza organizzata e radicata.

Adesso la firma online applicata a regole scritte cinquant’anni fa potrà consentire anche a un piccolo gruppo di amici, senza alcuna rappresentatività, di lanciare in rete qualsiasi proposta di referendum. E di farlo gratis da quando, entro il prossimo gennaio, sarà attiva la piattaforma governativa per le sottoscrizioni online. Anche la proposta più demagogica e persino illegittima potrebbe incrociare la corrente ascensionale della rete. Saltato il banchetto, l’attivismo del click e la «democrazia del tinello» (S. Rodotà) non prevedono nemmeno un minimo di informazione consapevole necessaria. Non parliamo del confronto.

Così stando le cose, c’è il rischio che anche referendum palesemente inammissibili, per esempio in materia di tasse, raccolgano facilmente un consenso enorme. In tre mesi diversi milioni di sottoscrizioni. Nel nostro sistema il controllo della Corte costituzionale sui quesiti continua a essere previsto in una fase successiva, a firme raccolte e depositate. E così i giudici potrebbero trovarsi a dover inevitabilmente bocciare richieste avanzate a furor di popolo. Lo spazio spalancato ai demagoghi è evidente. La necessità di correggere qualcosa anche. Con le firme online l’istituto referendario è cambiato, fare finta di non vederlo non è saggio. Anche se questa volta è per una buona causa.