Oggi la Commissione europea dovrebbe rivelare l’entità della multa che Fiat e Starbucks dovranno pagare per aver ricevuto “sovvenzioni mascherate” che alterano la concorrenza, rispettivamente dal Lussemburgo e dall’Olanda.

Fiat e Starbucks sono i primi di una lunga lista ad aver concluso accordi vantaggiosi di tax ruling con paesi compiacenti sull’evasione fiscale.

In prima fila c’è il Lussemburgo, che ha abusato del tax ruling ai tempi in cui l’attuale presidente della Commissione, Jean-Claude Juncker, era primo ministro e responsabile delle finanze. C’è anche l’Olanda, dove il ministro delle finanze è Jeroen Dijsselbloem, che si è distinto per l’intransigenza nei confronti della Grecia durante le trattative per i Memorandum in qualità di capo dell’Eurogruppo. Altre inchieste sono in corso, su Amazon in Lussemburgo e su Apple in Irlanda, avviate dalla commissaria alla concorrenza, Margrethe Verstager.

La multa dovrebbe essere superiore ai 30 milioni di euro per la Fiat e un po’ inferiore a questa cifra per Starbuks.

Arriva cosi’ a una prima conclusione l’inchiesta aperta a Bruxelles un anno fa, in seguito alle rivelazioni dell’indagine Luxleaks, realizzata da un consorzio di giornalisti internazionali (un’ottantina di investigatori di una quarantina di importanti media, da Le Monde al Guardian, dall’Asahi Shimbun alla Südddeutsche Zeitung o la Folha de Sao Paolo, L’Espresso in Italia).

Le rivelazioni di Luxleaks avevano coinciso con l’insediamento della Commissione Juncker nel novembre 2014 e guastato l’avvenimento.

Secondo Luxleaks, il Lussemburgo avrebbe concluso degli accordi segreti con 340 multinazionali (grosse banche comprese), applicando la pratica del tax ruling (una “riscrittura fiscale”): i profitti realizzati nel mondo vengono trasferiti dal punto di vista contabile in uno stato accogliente, facendo così risparmiare miliardi di euro di tasse alle multinazionali, che hanno esercitato grande fantasia per mascherare gli utili al fisco.

Il meccanismo è la creazione di una holding, una filiale o anche un fondo di investimento in Lussemburgo o in un altro paese compiacente, che non comunica l’esistenza di questi trasferimenti di utili agli stati che avrebbero dovuto tassarli. La trattativa è segreta, condotta a livello governativo e punta ad aggirare la tassazione “ufficiale” del paese coinvolto (per esempio, sulla carta il Lussemburgo ha un tasso elevato di imposizione sulle società, 29,2%, quasi come in Francia, che è al 30%, ma poi sono stati conclusi accordi segreti per evitare di pagare).

La decisione di Bruxelles ha inoltre un’ambiguità di fondo. La multa verrà versata ai paesi dove è stato concluso il tax ruling (cioè Lussemburgo e Olanda per Fiat e Starbucks, in seguito Irlanda quando si concluderà l’inchiesta che riguarda questo stato). In altri termini, i paesi compiacenti non hanno rischiato nulla con il ricorso al tax ruling, che del resto non è illegale in sé, come ha sempre sottolineato il governo lussemburghese.

Ma qualcosa sta cambiando lentamente nel settore fiscale, anche se nella Ue non c’è una politica comune.

Juncker e il Lussemburgo, che ha la presidenza del Consiglio Ue fino a fine anno, hanno la coda di paglia e molto da farsi perdonare. Così hanno portato a termine un accordo, concluso il 6 ottobre scorso, per lo scambio automatico di informazioni tra stati membri su accordi fiscali tra stati e multinazionali.

L’Ocse, nel settembre 2014, aveva suggerito al G20 alcune raccomandazioni contro le pratiche di ottimizzazione fiscale delle multinazionali, per permettere agli stati di recuperare la sovranità in questo settore.

Ma nella Ue l’armonizzazione fiscale non esiste (sul fisco è richiesto per di più il voto all’unanimità, che equivale al diritto di veto per i “paradisi” delle multinazionali).