«Lo chiamavamo Papa perché era troppo buono, come Papa Francesco». Che altro potevano dire del loro congiunto, Vera e Vittorio jr Casamonica, rispettivamente figlia e nipote del defunto Vittorio i cui funerali-show, celebrati nella capitale il 20 agosto scorso e diventati sui giornali di mezzo mondo il simbolo della decadenza romana, hanno costretto un intero Stato a mobilitarsi nel tentativo di lavare l’”onta” subita.

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Peccato però che l’evento fosse stato tanto annunciato quanto tollerato, prima che si levasse la bufera mediatica internazionale. Stavolta invece la bufera è politica, e si è levata contro la rappresentazione mediatica della cruda realtà andata in onda martedì sera nel primo salotto Rai, quello di Porta a Porta condotto dal presidente della “terza camera dello Stato”, Bruno Vespa. Un perfetto trailer del romanzo criminale moderno, più trash che cult.

Con il bravo avvocato Mario Giraldi che offre uno spaccato romantico del defunto Vittorio: «Mai un reato connotato da episodi di violenza», «solo una volta processato per droga ma poi assolto con le scuse della Corte»; «assegni a vuoto? Soltanto prima del 1992», «un solo episodio di estorsione, nel ’92, da allora in poi solo truffe». Certo, «negare che Vittorio sia stato un evasore fiscale sarebbe inutile e anche illogico», continua il difensore dei Casamonica per lo spettacolo che fa registrare uno share superiore a quello della puntata precedente con ospite Matteo Renzi. Vespa è raggiante mentre Giraldi descrive «uno dei più grandi commercianti di auto di grande pregio che Roma e non solo abbia mai avuto», che aveva saputo vendere «una Ferrari al maestro Trovajoli» e altre auto di lusso «a Bobby Solo e a Little Tony». Insomma, un uomo che «frequentava la Roma bene». D’altronde, «mica siamo tutti uguali, noi Casamonica», fa notare il nipote (incensutato, come Vera), fratello dell’uomo agli arresti domiciliari a cui era stato concesso il permesso per partecipare ai funerali. Ieri sera, poi, mentre tutto il mondo della politica si indignava, Vittorio jr aggiunge cortesemente un sentito «grazie Bruno, grazie Rai».

Dalla giunta di Roma in poi la ribellione è unanime, o quasi. Il vicesindaco Marco Causi pretende dalla Rai le scuse per la città. La seduta del Senato si apre con lo sbigottimento su quello che Grillo chiama un «servizio pubblico paramafioso». La presidente della Commissione Antimafia Rosy Bindi annuncia di convocare in audizione i vertici della Rai e dell’ordine dei giornalisti. Il sindaco di Roma Ignazio Marino protesta formalmente con il presidente della Commissione di vigilanza, Roberto Fico, perché «se l’indecorosa messa in scena a piazza Don Bosco aveva trovato i responsabili dell’ordine pubblico impreparati e sorpresi, per un difetto di informazione, questa volta la “rappresentazione” è stata studiata a tavolino. E dunque è senza scusanti». «Ospitarli è stato un errore grave», twitta il presidente del Pd Matteo Orfini, mentre il coordinatore di Sel, Nicola Fratojanni, invoca l’intervento della presidente Rai, Monica Maggioni.

Si infuriano anche le vittime delle cosche e chi, come la giornalista di Repubblica, Federica D’Angeli, è sotto scorta per minacce ricevute da esponenti del clan Casamonica. Il Consiglio dell’Ordine dei giornalisti del Lazio «comunica che i colleghi protagonisti della vicenda saranno deferiti al Consiglio territoriale di disciplina per le valutazioni del caso», mentre l’Usigrai sottolinea: «Qui la questione non è censurare, ma scegliere quale Paese raccontare e come». Diversi, i punti di vista dei consiglieri Rai: Arturo Diaconale, per esempio, rivendica «l’autonomia decisionale giornalistica», l’ex segretario della Fnsi, Franco Siddi, dice no alla censura ma invita a riflettere sulla rappresentazione della realtà, mentre per Rita Borioni «il servizio pubblico è un’altra cosa». Netto il giudizio di Fabio Rampelli, capogruppo di FdI-An e componente della commissione di Vigilanza della Rai: «Ha fatto semplicemente il suo dovere, con la professionalità che contraddistingue lui e i suoi collaboratori».

Bruno Vespa ovviamente non si scompone: «Lasciateci fare il nostro mestiere. Quando Biagi ha intervistato Sindona nessuno ha contestato, c’erano forse le vittime?», risponde alle proteste dell’assessore alla Legalità di Roma invitato ieri sera per una nuova puntata di Porta a Porta sul caso. Per Alfonso Sabella, ex pm antimafia di Palermo, infatti, se la giornata del 20 agosto ha segnato «un brutto colpo per Roma perché il funerale è l’epifenomeno di un fenomeno: la manifestazione di un atto di prepotenza, arroganza e impunità», «spegnere i riflettori su questa pagina nera della storia romana recente forse avrebbe fatto meglio». E poco importa che se i familiari incensurati di Vittorio Casamonica abbiano mostrato un profilo difficilmente affascinante per il grande pubblico: «Vera Casamonica è la nuova regina del clan – afferma l’assessore Sabella, torinese d’origine – e vedendo la trasmissione non so dire se fosse più burina o coatta. Qui a Roma non ho ancora capito la differenza, me la devo far spiegare». «Il problema – ribatte Vespa – non si risolve spegnendo le telecamere, ma andando a prendere i criminali per restituire dignità alla città che di certo non l’ha perduta per una puntata di Porta a Porta».