Nel sempre più provinciale giardino intellettuale italiano, riuscire a farsi pubblicare dalla bibbia del liberalismo – il Financial Times – è una rarità. Emiliano Brancaccio, docente di Politica economica all’Università del Sannio (dalla scorsa estate tornato a collaborare con il manifesto), ci è riuscito più volte nonostante le posizioni dichiaratamente marxiste che propugna.

GLI APPELLI a sua prima firma – sottoscritti da colleghi da tutta Europa – hanno poi sempre aperto discussioni accademiche a livello globale. Quello intitolato Le condizioni economiche per la pace, pubblicato su Ft il 17 febbraio 2023 e su Le Monde il 12 marzo, riecheggia fin dal titolo il famoso pamphlet di Keynes Le conseguenze economiche della pace del 1919.
Già il parallelo tra la situazione odierna e la fine della prima guerra mondiale dà il senso del passaggio cruciale che stiamo vivendo, sull’orlo del baratro di un terzo conflitto globale. L’ambizione molto alta di Brancaccio e dei suoi colleghi è infatti quella di creare un ordine economico globale sulla scorta di quello disegnato e poi messo in pratica dagli stati vincitori, regolando il commercio e la finanza arrivando alla Bretton Woods del 1944.

Il libro mandato alle stampe da poche settimane per Mimesis ha lo stesso titolo (Le condizioni economiche per la pace, pp. 200, euro 18) ed è composto da un collage di interventi e interviste, seguito da una parte teorica «rivolta a ricercatrici e ricercatori» con annesse formule economiche comunque «accessibili a tutti».

NON SERVE INFATTI essere economisti per riflettere sulla situazione odierna vista da un punto di vista marxista e condividerne il contesto e le proposte di revisione del modello capitalistico attuale, senza alcun intento rivoluzionario. Come nota giustamente Brancaccio, siamo passati da un’egemonia della visione marxista che «pretendeva di interpretare ogni fatto politico, compresa la guerra, su basi puramente economiche, in un abbaglio diametralmente opposto» che le elude completamente. Gli ultimi studi marxisti invece dimostrano «la tendenza del cosiddetto capitalismo imperialista verso lo scontro militare». Le ragioni risiedono – come insegnava il realismo per le ragioni della prima guerra mondiale parlando di balance of power – nella svolta americana verso il protezionismo figlia non solo di Trump, ma che Brancaccio fa risalire alla reazione di Obama alla crisi del 2008: gli investimenti esteri rispetto al Pil sono crollati di oltre il 70%, passando dal 5,5 all’1,5%. La nuova dottrina americana si chiama friend shoring: fare affari solo con gli amici.

In questo senso la chiusura verso la Cina, decisa per evitare che a causa del debito verso l’estero, Pechino possa controllare le big tech a stelle strisce, ha portato a uno squilibrio finanziario che ha conseguenze geopolitiche per tutti i suoi alleati: anche la scelta italiana di ritirarsi dalla Via della Seta e gli attacchi degli Houthi nel Canale di Suez.
In questo quadro le cause della guerra in Ucraina acquisiscono tutta un’altra prospettiva: uno scontro economico, figlio dell’imperialismo che Russia e occidente stanno conducendo da anni.

UNA SPIEGAZIONE che porta con sé anche la tragedia di Gaza. Fra le conseguenze della svolta protezionista americana, per Brancaccio, ci sono gli Accordi di Abramo fatti «per normalizzare i rapporti di Israele con i paesi musulmani ricchi di risorse naturali per portarli dalla propria parte», dimenticando però totalmente la questione Palestinese che è puntualmente detonata.
Il libro è molto istruttivo per un nuovo e più efficace pacifismo. Se «sulle basi materiali della guerra i costruttori di pace sembrano distratti», Brancaccio cita papa Bergoglio come unico esempio di chi, «tratteggiando una lettera implicitamente marxista», «evidenzia gli aspetti più materialistici della guerra», «altro bizzarro paradosso di questo tempo».
La denuncia della «parodia dell’idealismo kantiano» che porta «i fanatici del più ottuso atlantismo» a sostenere che «il boom della spesa militare si spieghi solo con l’altissimo proposito di difendere la libertà e la democrazia nel mondo» viene compendiato con una citazione di Tolstoj: «Se tutti combattessero solo in base alle proprie convenzioni, la guerra non esisterebbe».