Domani più di 8 milioni di ciadiani sono chiamati alle urne per decidere tra i 10 candidati alla presidenza in un paese segnato, fin dalla sua indipendenza dalla Francia nel 1960, da colpi di stato e ribellioni. Presidenziali considerate importanti anche riguardo agli equilibri geo-politici del Sahel, con il Ciad sostenuto dai paesi occidentali – Francia in primis –, ma che ha recentemente allacciato «nuovi rapporti di partenariato» con Mosca.

La vera lotta sarà tra Mahamat Idriss Déby Itno (Midi), presidente ad interim – favorito anche grazie al forte sostegno dei militari – e l’attuale primo ministro Succès Masra, leader del Partito dei Trasformatori (Les Trasformateurs). Masra, principale esponente delle opposizioni, è rientrato nel paese il 3 novembre scorso, dopo un anno di esilio e la sigla di un «accordo di riconciliazione», in seguito alla sanguinosa repressione di una manifestazione convocata dal suo partito.

Durante la campagna elettorale le due principali piattaforme delle opposizioni, Wakit Tama ed il Cgap, si sono schierate per il «boicottaggio», dopo il «referendum farsa» e l’approvazione a dicembre della nuova Costituzione che ha spianato la strada all’affermazione della «dinastia Déby».

Il 20 aprile 2021, Mahamat Déby è stato nominato «presidente della transizione» alla guida di una giunta di 15 generali, in seguito alla morte del padre Idriss Déby Itno, ucciso dai ribelli, dopo aver governato il Ciad con il pugno di ferro per oltre 30 anni. Una transizione sostenuta dai paesi occidentali, pronti a condannare i golpisti in Mali, Burkina Faso e Niger, ma sempre vicini «al governo militare di N’Djamena», visto che il Ciad ospita oltre mille soldati francesi e rimane l’ultimo paese dell’area rimasto fortemente legato alla Francia.

Parigi non ha mai condannato la sanguinosa repressione del 20 ottobre 2022, quando l’esercito aprì il fuoco sui manifestanti contrari al «potere dei militari» – radunati sotto l’ombrello dei Trasformateurs guidati da Masra – uccidendo «almeno 300 persone». Un migliaio di altri manifestanti furono mandati nella colonia penale di Koro Toro, in mezzo al deserto, alcuni dei quali «morirono durante il viaggio o furono giustiziati», secondo le Ong.

Nessuna denuncia neanche per la recente morte di Yaya Dillo, cugino di Mahamat Déby e suo più accanito rivale alle presidenziali, ucciso dai soldati durante l’assalto alla sede del suo partito e assassinato con un proiettile alla testa, lo scorso 28 febbraio.

I principali leader dell’opposizione, la maggior parte dei quali in esilio, accusano Succès Masra di essere una «marionetta» e un «traditore», dopo aver accettato la carica di primo ministro e dimenticato le vittime del suo stesso partito, con una candidatura che «ruba voti al dissenso solo per interessi personali». Ma i raduni elettorali, con folle impressionanti, e le tensioni di questi giorni – numerosi gli attivisti dei Trasformateurs arrestati – hanno riportato fiducia nei suoi sostenitori riguardo ad una sua possibile vittoria.

Molto dipenderà dalla credibilità di queste elezioni, visto che il segretario generale dell’Onu, Antonio Guterres, ha richiesto nei giorni scorsi «elezioni libere e democratiche» per evitare nuovo spargimento di sangue. Numerosi gli appelli anche da parte della Federazione Internazionale per i Diritti Umani (Fidh) e della Lega Ciadiana per i Diritti Umani (Ltdh) che criticano «un’elezione che non sembra né libera, né democratica» e hanno raccomandato «il dispiegamento di osservatori internazionali per garantire il regolare svolgimento delle elezioni, al fine di proteggere il Ciad da una crisi postelettorale».

«Déby ha contro di sé il record di 30 anni di governo dispotico e tutti gli indicatori economici e sociali in deficit», ha indicato all’agenzia Afp Remadji Hoïnathy, esperto di Sahel, secondo il quale sarebbe «difficile per lui vincere al primo turno, senza brogli elettorali». I risultati delle presidenziali sono attesi il 21 maggio, con il possibile secondo turno il 22 giugno.