Lo scorso anno la Commissione ecomafie del senato ha prodotto la sua relazione sul ciclo dei rifiuti a Roma, evidenziando che il sistema «presenta fragilità, rigidità e precarietà che danno luogo a frequenti interruzioni di servizio e lasciano incombenti minacce di crisi nel ciclo di trattamento e smaltimento».

«ALLA ROTTURA o alla momentanea indisponibilità anche di una sola linea di Tmb il ciclo dei rifiuti della Capitale può arrivare al collasso», profetizzava il documento. Adesso che un pilastro di questo traballante edificio viene a mancare, Raggi teme l’effetto domino.

Quando si parla di economia della ‘monnezza bisogna considerare l’ironia della sorte. Un tempo al posto del Tmb di via Salaria 907 c’era una fabbrica di quelle vere, la sede centrale di uno storico marchio italiano di autoradio e televisori: Autovox. Quando finì in mano a Motorola, che lo usò soltanto per penetrare il mercato europeo, le linee di montaggio che negli anni ’70 avevano vissuto anche una storia di conflittualità operaia, si fermarono.
Nella seconda metà degli anni ’90 i quasi 250 operai vennero riassorbiti dall’azienda municipalizzata che negli stessi capannoni doveva gestire la spazzatura.

Ecco allora il Tmb, sigla che sta per «trattamento meccanico biologico»: indica i luoghi in cui arrivano i rifiuti indifferenziati per essere, appunto, «trattati». Il sistema che gestisce l’immondizia è quanto mai complesso, per semplicità diremo che in questi snodi si separa il materiale riciclabile da quello organico o da quello, ancora, che dovrebbe finire in un qualche inceneritore, ufficialmente per produrre combustibile. Lo stabilimento che ieri all’alba è stato colpito dalle fiamme è uno dei due Tmb pubblici. L’altro si trova a Rocca Cencia, periferia sudest, lungo la via Prenestina.

SULLA SALARIA arrivavano almeno 500 tonnellate di rifiuti al giorno delle circa 3 mila di indifferenziati (su 4.500 totali) che ogni giorno vengono prodotte a Roma. La cifra è calcolata al ribasso ma per questo impianto quelle tonnellate sono molte, probabilmente troppe.

Lo dicono gli abitanti del quartiere e lo sostengono gli amministratori del Municipio, che lamentano anche la presenza di un asilo a 150 metri dai cumuli di immondizia. Il sospetto molto forte è che dentro l’area di via Salaria non ci sia una zona di transito ma una specie di discarica in mezzo ai palazzi. Da qui miasmi nauseabondi, mal di testa e chissà quali altri malanni.

VIRGINIA RAGGI E IL M5S avevano promesso che l’impianto sarebbe stato chiuso, solo che una volta arrivati in Campidoglio l’emergenza rifiuti gli è esplosa tra le mani.

Roma deve fare i conti con la chiusura della gigantesca discarica di Malagrotta, che si trova nella periferia occidentale, tra la città e la costa tirrenica. Quello era il regno di Manlio Cerroni, che per anni ha macinato miliardi e che attualmente gestisce i due Tbm privati, dentro l’area che una volta ospitava le montagne di rifiuti.

Dunque, Roma deve imparare a fare a meno del grande monopolista.

Bisognerebbe individuare altre aree per costruire nuovi impianti, ma il gioco a rimpiattino tra la Regione Lazio (che dovrebbe autorizzarle) e Roma Capitale (che ha lo scomodo onere di proporre i siti, sfidando il malcontento dei cittadini) prosegue ormai da due anni e mezzo. Ecco da dove trae origine l’imbuto di via Salaria, il suo divenire discarica certificato giusto qualche settimana fa dall’Arpa, che in un rapporto parla di «elevate caratteristiche di putrescibilità» dei rifiuti. Ed ecco per quale motivo Raggi non poteva permettersi di chiuderla.

L’ASSESSORA ALL’AMBIENTE Pinuccia Montanari da tempo assicura che la soluzione sta nel riciclo e nella raccolta differenziata. Intenzione mirabile, solo che i risultati nel breve periodo non sarebbero rassicuranti. Ieri la sindaca ha fatto appello ad altri territori per individuare luoghi in cui dirottare temporaneamente le 500 tonnellate di rifiuti che ogni finivano in via Salaria.

Si parla dei Tmb di Viterbo, di Colfelice (vicino Frosinone) o di Aprilia. Si frega le mani Cerroni, che non ha mai mandato giù la sua estromissione (ad opera della giunta di Ignazio Marino) e che potrebbe incamerare 100 tonnellate in più al giorno in ognuno dei suoi impianti.