Un arcangelo si presenta davanti alla giovane Maria. Siamo a Nazareth, terra dell’attuale stato di Israele. Le dice di non aver paura, che è stata scelta per portare in grembo il figlio di Dio. Lei, scettica, assicura di essere vergine. Ma l’arcangelo – tale Gabriele – le risponde senza offrire altri dettagli che lo Spirito Santo scenderà su di lei, che «il potere dell’Altissimo» la «coprirà con la sua ombra». Così, in una sola frase, Maria viene informata della sua prossima maternità. E accetta con abnegazione.
Ma se invece avesse deciso di abortire il figlio di Dio? Come dire no al desiderio divino? Ha provato a immaginarselo Silvia Lucero, l’artista argentina che dal lato australe del mondo si è domandata «che cosa farebbe oggi una donna davanti a un’Annunciazione?». La sua risposta è: «Oggi sarebbe femminista». Ma Dio non la perdonerebbe: Maria dovrebbe sparire. Ed è quanto è successo alla «Vergine Abortista», la sua opera più controversa.

 

Maria Femminista, o Virgen Abortera. Un’opera di Silvia Lucero (foto di Gianluigi Gurgigno)

 

SILVIA LUCERO nasconde il suo peccato dietro lo pseudonimo «Coolpa» – giocando con lo spagnolo culpa – ma l’eco della sua opera, da lei battezzata «Maria Femminista» l’ha obbligata ad uscire allo scoperto. Una vergine con un fazzoletto verde al collo potrebbe sembrare inoffensiva, ma a queste latitudini il pañuelo verde è riconosciuto immediatamente come un simbolo della «Campagna nazionale per il diritto all’aborto legale, sicuro e gratuito».

Il diritto all’aborto in Argentina non è ancora legge. Lucero parla piano e senza fretta. Ma la sua opera blasfema grida. Popolarmente conosciuta come Virgen Abortera (Vergine Abortista) a seguito della diffusione ottenuta durante il 33mo Incontro nazionale delle donne, del 2018, è entrata a far parte quest’anno della mostra «Para todes, tode», nel Centro culturale della memoria (Ccm) Haroldo Conti. L’edificio si trova nell’ex Esma, la scuola della Marina militare che durante l’ultima dittatura (1976-1983) divenne uno dei 750 centri di detenzione clandestina del paese, al cui interno si stima transitarono circa 5 mila detenuti e desaparecidos. In questo luogo la storia si è ripetuta a mo’ di farsa. La mostra era stata promossa dai lavoratori del Ccm, mobilitati a loro volta da tempo per denunciare i tagli ai finanziamenti da parte del governo Macri.

IN PREVISIONE di possibili attacchi, l’opera è stata inizialmente esposta all’interno della libreria del Ccm, dove pur contando sulla vigilanza dei lavoratori, secondo Lucero «non si notava che fosse parte della mostra». Il 9 marzo, giorno dell’inaugurazione, mentre di fronte a circa 200 persone intervenivano referenti del panorama accademico e culturale argentino – su tutti l’antropologa Rita Segato -, si è avvicinato alla libreria un gruppo «pro vita» per annunciare azioni contro la vergine. Concludendo con una minaccia neanche troppo velata: «Noi siamo i più tranquilli».

Il giorno successivo la Segreteria della Nazione per i Diritti umani, dalla quale dipende il Conti, ha pubblicato un messaggio su Twitter: «Siamo stati sorpresi nella nostra buona fede» con una «mostra che contiene elementi offensivi non comunicati previamente. In tal caso ci saremmo opposti a tale esibizione».

LE MINACCE ANONIME ai lavoratori a quel punto sono aumentate e – racconta Lucero – «il Direttore del Conti, Alex Kurland, e il suo vice, Eduardo Feller, hanno chiesto loro di togliere l’opera. Non chiamavano me, però». Né veniva avvisata la curatrice della mostra, la femminista Kekena Corvalán, che aveva messo insieme oltre 100 artisti e artiste del paese per problematizzare la questione delle donne, lesbiche, trans, travestite e dei generi non binari. Nel frattempo i lavoratori riuniti in assemblea avevano deciso di trasferire la Vergine nella sala principale. La tensione cresceva.

«Gli avvocati cattolici hanno presentato un ricorso alla Giustizia, che ad aprile ha ordinato la censura parziale dell’opera: doveva essere trasferita in una stanza chiusa, non alla vista di tutti». Il Segretario ai Diritti umani, Claudio Avruj, si è allineato con i movimenti anti-diritti: «Attraverso una lettera-documento hanno intimato a Kekena di eseguire l’ordine, ma lei si è negata e la direzione del Ccm, senza notificarle nulla, ha cancellato ogni riferimento al suo nome. Hanno fatto uso degli organi statali come si stesse intervenendo su una bottega di quartiere».

 

La Virgen Abortera in una video-proiezione nei locali del Cels successiva alla sua scomparsa (foto di Gianluigi Gurgigno)

 

VENERDÌ 26 APRILE LUCERO e il Centro di studi legali e sociali (Cels) si sono dichiarati «parte lesa» davanti alla Giustizia. La mattina dopo la Vergine non c’era più: scomparsa. Voci non ufficiali del governo hanno dichiarato ai media che «era stata messa da parte», ma né all’artista, né alla curatrice e tantomeno ai lavoratori del Conti è stato notificato il sequestro dell’opera.
La vergine era parte della serie Subversiones. Lo spostamento simbolico della nozione di icona religiosa a icona popolare, un’appropriazione più vicina al feticcio e alla superstizione che all’istituzione ecclesiastica.

IL RIMANDO È IMMEDIATO all’artista argentino León Ferrari, che da par suo si rifaceva alle figure dei santi affinché fossero loro stessi a rappresentare una voce critica verso la chiesa cattolica. Ferrari, vincitore del Leone d’Oro alla Biennale di Venezia e le cui opere sono state esposte al MoMa e al Reina Sofía, fu anch’egli vittima di un atto di censura: nel 2004, militanti ultracattolici si scagliarono contro una sua esposizione, un giudice sentenziò la chiusura della mostra, ma il centro culturale fece appello e la mostra rimase aperta. «Nel mio caso è successo il contrario, hanno appoggiato la censura».

«Hai avuto paura?» le chiede una sconosciuta. «All’inizio sì, ma poi ti ci abitui», – le risponde Silvia, prima di sapere che la domanda viene dalla nipote di León Ferrari, giunta qui per vedere le statuette-replica della desaparecida Vergine Abortista.

traduzione di Gianluigi Gurgigno