Ascanio Celestini ha un pubblico affezionato e costante, che ogni sera manda esauriti i teatri dovunque lui si esibisca. É successo così anche a Roma, dove invece era curiosamente inserito nel cartellone di Romaeuropa nelle serate al Vascello. Curiosità dovuta proprio al pubblico, che a Romaeuropa è solitamente piuttosto diverso da quello dell’artista romano. Ma Celestini è una forza della natura, e trascina chiunque nelle spire dei suoi racconti: sempre apparentemente semplici e impregnati di vissuto quotidiano, ma altrettanto carichi di valenze e analisi ficcanti per leggere la realtà attorno a noi.

21VISSINaperturabiscelestini4
Ascanio Celestini

La sua ultima creazione (ora in tournée in tutt’Italia, e destinata a tornare a Roma in primavera, all’interno di una trilogia al teatro Vittoria) si intitola Laika, omaggio alla cagnetta russa che fu la prima presenza vivente a essere lanciata nello spazio. E l’attore personifica addirittura Gesù Cristo, seppure col suo cappottuccio dimesso e una camicia rossa.

È un Gesù infatti che torna sulla terra non per predicare, redimere e far miracoli, ma solo per osservare il mondo da un caseggiato popolare, tanto devono risultare anche a lui difficili da capire le condizioni in cui l’umanità si è infilata. L’altro carattere distintivo di quella sacra presenza è il non vedere, per cui la realtà gli è disvelata dal più debole e fedele dei suoi antichi frequentatori.

Un apostolo Pietro cui dà voce femminile registrata, di tanto in tanto, Alba Rohrwacher, e forse più ancora la fisarmonica di Gianluca Casadei. Questi funge da vera spalla/interlocutore mentre suona in apparente «accompagnamento», ma spesso quasi a suggerire piccole vie di fuga musicali.

All’inizio nascosto dietro un sipario rosso, dietro il quale è destinato ad essere rinchiuso alla fine della narrazione.

Prende corpo così, in minore, questo viaggio in mezzo agli ultimi. A differenza che in altri racconti di Celestini, qui non ci sono dall’altra parte valori forti da assecondare o combattere.

Il degrado, umano quanto ambientale, è totalità. Il narratore, o Gesù cieco e curioso, si muove attraversando parcheggi deserti fuori di un centro commerciale, finestre malmesse di case occupate e abbandonate, cartoni e rifiuti. Senza illusione di rifugiarsi nell’epica o nella sacralità di un girone infernale classico o d’alto bordo letterario, ma attraversando la mediocre banalità di un orizzonte di cui si perdono nella nebbia e nei liquami le responsabilità originarie.

La presenza del clochard dalla pelle nera acquattato nel parcheggio, arriva assieme ai suoni del pericolo che corre, quasi elemento ambientale che nessuno si perita più di indagare, al di là di questo Gesù passivo e curioso. Che si imbatte anche in una prostituta, e in altre presenze che un tempo si sarebbero chiamati «i vinti».

Oggi, abolite a forza diversità e gerarchie (che non siano quelle di un potere bruto e spavaldo, in ogni caso lontanissimo dalla realtà di tutti i giorni), l’omologazione si allarga ad avvolgere e confondere anche le forme e le situazioni più disperate. Una melassa formale investe e annebbia qualsiasi cosa che prima avrebbe potuto gridare vendetta davanti all’umanità. E questo novello Gesù che vuol vedere senza averne lo strumento principale, diviene il punto più forte del panorama che prende corpo dalla rilevazione scenica.

Ascanio Celestini da parte sua ha la ben nota capacità di vedere le cose in laica profondità, così che non mancano lungo i cento minuti del racconto le occasioni per sorridere (come la gustosa citazione del fuoriclasse giallorosso anni ’70 Di Bartolomei), o per guardare col pensiero anche oltre quello che normalmente ci offre l’orizzonte attorno a noi. Con l’esempio clamoroso dell’apostolo traditore ora destinato alla punizione eterna, ma senza il quale pure non si sarebbe potuto compiere il sacrificio divino e la conseguente resurrezione: «Povero Giuda, povero cristo».

Così, tra paradossi e scossoni, il racconto di Celestini, come il famoso pifferaio magico, fa entrare i suoi spettatori nel proprio terreno, pronti a liberarsi di pregiudizi e resistenze, per una visione utopica che può rischiarare la sera più buia, redenta dalla favola di Ascanio.