Una settimana fa il Tar del Lazio ha annullato la nomina del Procuratore della Repubblica di Palermo, effettuata dal Consiglio superiore della magistratura nel dicembre scorso (preferendo Francesco Lo Voi a Sergio Lari e Guido Lo Forte, procuratori della Repubblica rispettivamente di Caltanissetta e di Agrigento).

La notizia, oltre a una qualche immediata eco di stampa (per lo più con accenti scandalistici, quasi che si trattasse di un unicum nella nostra vicenda istituzionale) ha suscitato una polemica che ha avuto come protagonisti Giovanni Fiandaca (Il Foglio del 27 maggio) e Gian Carlo Caselli (Il fatto quotidiano del 29 maggio).

D’accordo nel ritenere inevitabile l’annullamento, non avendo il Consiglio dato spiegazione delle ragioni della pretermissione dei titoli specifici dei candidati soccombenti (all’evidenza maggiori di quelli di Lo Voi), i due commentatori si dividono sulla valutazione della decisione del Consiglio.

Secondo Fiandaca essa risponde all’intento di chiudere, con la nomina di un magistrato “moderato” e in buona parte estraneo all’ufficio, una stagione della Procura palermitana e, più in generale, «di arrestare, e al tempo stesso di prevenire, i guasti e le derive ad ampio raggio di una certa antimafia giudiziaria fondamentalista e scontrollata»: intento indicibile ma – prosegue Fiandaca – sacrosanto «per la salute della nostra democrazia».

Per Caselli, che di quella stagione è stato protagonista, la ricostruzione effettuata da Fiandaca, oltre a poggiare su dati di fatto errati (come l’asserito coinvolgimento, seppur indiretto, di Lari e Lo Forte nel processo sulla trattativa Stato-mafia) è incompatibile con il ruolo del Csm che «non può e non deve interferire in alcun modo con la giurisdizione».

Quest’ultimo rilievo sul rapporto tra organo di governo della magistratura e giurisdizione è incontestabile ma lascia senza risposta il nodo fondamentale: perché il Csm ha nominato Lo Voi disattendendo propri orientamenti consolidati? Se non si risponde a questa domanda non si capisce che cosa è accaduto da ultimo e cosa sta accadendo nel Consiglio superiore, nei suoi rapporti con le altre istituzioni e, più in generale, nella giurisdizione.

Perché una cosa è certa: la nomina di Lo Voi non è stata un infortunio o un errore tecnico o il frutto di logiche interne alle correnti della magistratura, ma una scelta (o, più esattamente, una forzatura) politica, in gran parte eterodiretta. Ed è esattamente la scelta indicata da Fiandaca (che sbaglia nel ritenerla condivisibile, ma non nel descriverla), inscritta in una strategia che viene da lontano e ha molti padri e madri.

Il nodo del contendere è, da alcuni decenni, l’autonomia della giurisdizione dai circuiti del potere, voluta dalla Costituzione ma intollerabile in tempi di accentramento e di decisionismo. La caduta verticale di credibilità della politica ne impedisce peraltro, dopo i tentativi berlusconiani, una esplicita riduzione.

Di qui ripetuti interventi per indebolirla in maniera indiretta.

Si è cominciato con alcune modifiche bipartisan dell’ordinamento giudiziario che accentuano i poteri dei capi degli uffici (soprattutto di Procura) e aumentano a dismisura la discrezionalità del Csm nelle relative nomine (svincolate da criteri oggettivi e legate, conseguentemente, a valutazioni del tutto soggettive).

Modificate le norme occorreva controllare il Consiglio. E l’operazione si è sviluppata con alcune tappe fondamentali: l’interventismo a piedi giunti del presidente Napolitano che, innovando rispetto ai suoi immediati predecessori, ha drasticamente ridotto le prerogative del Consiglio rivendicando un discutibile (a dir poco) potere di definizione dell’ordine del giorno e di controllo preventivo su tutte le decisioni rilevanti; l’acquiescenza a tale impostazione della componente togata del Csm e, in generale della magistratura, che spesso, durante la lunga età di Napolitano, hanno preferito al confronto pubblico un filo diretto e riservato con il Quirinale; la scelta del Parlamento di privilegiare, nella nomina dei componenti laici, i percorsi e i legami politici rispetto alle competenze e ai meriti scientifici (fino ad arrivare al transito diretto dell’attuale vicepresidente da un incarico di Governo).

Questo insieme di fattori ha condotto progressivamente e in modo sempre più marcato a decisioni consiliari dettate da scelte di politica generale più che dal rispetto di regole predeterminate e da valutazioni di buon funzionamento della giurisdizione.

La nomina di Lo Voi a procuratore di Palermo si colloca in questa logica, come dimostrano il clima che l’ha preparata e il concorso unanime dei componenti laici di tutte le estrazioni (compresi Sel e 5Stelle) in non casuale alleanza con i vertici della Cassazione e i membri togati del gruppo che fa capo a un ex consigliere (Cosimo Ferri) da tempo approdato al ruolo di sottosegretario alla giustizia.

Se non si coglie questo intreccio e non si opera per denunciarlo e invertire la tendenza molti altri casi analoghi a quello della Procura di Palermo si ripeteranno (magari occultati da motivazioni formali più accurate). E a poco servirà dolersene a cose fatte, magari a seguito dell’intervento di un Tar.