Seconda notte di proteste a Charlotte, in North Carolina, per l’uccisione di Keith Lamont Scott, afro americano di 43 anni, da parte della polizia. Un uomo è stato gravemente ferito a colpi di arma da fuoco durante una delle manifestazioni. La polizia ha sparato lacrimogeni e cercato per tutta la nottata di riportare la calma, senza riuscirci. Il governatore dello stato ha dichiarato lo stato di emergenza e annunciato che è pronto a mobilitare la guardia nazionale se la situazione di ordine pubblico non dovesse migliorare. (aggiornamento delle ore 9.40 ora di Roma)

Nella giornata di ieri era tornata la calma in città dopo la notte di passione seguita all’uccisione di Keith Lamont Scott, afro americano di 43 anni, da parte della polizia. La sparatoria avvenuta non lontano dalla prestigiosa università Unc rappresenta l’ennesimo omicidio di polizia, un macabro catalogo che negli Usa da gennaio a oggi ha raccolto 788 vittime. Nel 2015 il totale è stato di 990 morti; di ogni razza ma con una percentuale doppia fra i neri rispetto ai bianchi.

La polizia di Charlotte non ha fornito dettagli sui fatti di martedì ma gli agenti di pattuglia avrebbero fermato Scott in auto davanti alla sua abitazione intimandogli di scendere. Secondo il rapporto l’uomo sarebbe uscito impugnando un arma e l’agente Brentley Vinson avrebbe fatto fuoco «temendo per la propria incolumità», la consueta formula che in America giustifica legalmente l’uso di «forza mortale» da parte delle forze dell’ordine. La figlia della vittima ha invece caricato un drammatico video in rete in cui sostiene che l’arma non c’era e che l’oggetto in mano al padre era un libro. Il liso copione cioè che puntualmente segue uccisioni che si susseguono con l’agghiacciante media di circa tre al giorno.

Subito dopo i fatti, numerosi abitanti del vicinato si sono radunati sulla scena del delitto, ignorando gli ordini di disperdersi. Entro poche ore la folla aveva raggiunto diverse centinaia di persone e sono cominciati lanci di sassi e bottiglie verso i poliziotti. Alle 23 locali la polizia ha caricato usando lacrimogeni ma la gente si è nuovamente assembrata nella notte, bloccando l’interstate 85 che attraversa la città, incendiando copertoni e assaltando camion che sono stati dati alle fiamme.

Una dozzina di agenti hanno riportato contusioni e almeno sette manifestanti sono stati ricoverati. Il capo della polizia Kerr Putney ha tenuto ieri una conferenza stampa assicurando che a indagini ultimate, i fatti «daranno ragione» all’agente e che una pistola è stata effettivamente rinvenuta sul luogo. Intanto la Nation of Islam ha fatto appello per un boicottaggio economico di Charlotte (il North Carolina è già boicottato da numerose personalità fra cui Itzhak Perlman, Ringo Starr, i Pearl Jam e il campionato di basket universitario NCAA a causa della legge varata nello stato contro l’accesso ai bagni pubblici per i transgender).

Protesta a Charlotte (NC) dopo l'omicidio di Keith Lamont Scott - Reuters
Protesta a Charlotte (NC) dopo l’omicidio di Keith Lamont Scott – Reuters

L’uccisione di Scott è avvenuta appena un paio di giorni dopo quella di Terence Crutcher, un altro quarantenne padre di famiglia afro americano a Tulsa, in Oklahoma. La morte di Crutcher è stata ripresa dalle telecamere di bordo delle volanti e da un elicottero della polizia che sorvolava la scena. Nelle immagini si vede un uomo accanto a una macchina ferma in mezzo alla strada. Da alcune volanti escono agenti con le pistole puntate contro l’uomo che sembra seguire i loro ordini, alza le mani, arretra e lentamente le poggia sulla propria auto. A questo punto l’uomo, padre di quattro figli che frequentavano corsi al college locale, viene simultaneamente colpito da un taser elettrico e dalle pallottole sparate dall’agente Betty Shelby.

I due episodi a distanza di un paio di giorni rammentano le uccisioni di Philando Castile in Louisiana e Alton Sterling in Minnesota che a luglio provocarono un ondata di proteste in tutto il paese. Durante quella di Dallas un cecchino, Micah Xavier Johnson, ha ucciso 5 agenti di polizia ferendone altri sette. Un altra rappresaglia avvenuta a Baton Rouge pochi giorni dopo era costata la vita ad altri tre poliziotti.

Questa «tensione calma» rischia adesso di incrinarsi dopo gli ultimi morti. La polizia rivendica la consueta dinamica per cui il «sospetto» viene freddato «giustificatamente» per una mossa improvvisa o per «non aver eseguito gli ordini». Argomentazioni che manifestano la cronica incapacità di afferrare l’oltraggio morale che cresce soprattutto fra i neri.

Al di la dei dettagli di ogni singolo caso, infatti, l’effetto cumulativo dell’ecatombe continua a esplicitare il congenito razzismo ancora endemico nelle istituzioni e la militarizzazione delle forze dell’ordine intese come strumento di controllo sociale. A Charlotte ad esempio sia la vittima che il carnefice che il capo della polizia sono neri, a dimostrazione che è la stessa cultura di «tolleranza» zero ad aver bisogno di un profondo ripensamento.

Senza contare che tutto questo accade sullo sfondo di una campagna elettorale dagli esiti sempre più incerti. Da una chiesa nera di Cleveland dove era stato invitato a parlare dal pastore conservatore (assieme al promotore/truffatore Don King), Donald Trump ha scelto l’inconsueta strategia dell’empatia. I poliziotti «mi sostengono e sono gente straordinaria», ha esordito, ammettendo però che a volte qualcuno di loro può sbagliare a causa della «forte emozione». «A Tulsa quell’uomo aveva le mani in alto (…) Forse l’agente si è spaventata. Forse quelli che si spaventano dovrebbero cambiare mestiere». Un cinico tentativo di accattivarsi l’elettorato nero (scaricando implicitamente la colpa sulle emozioni della poliziotta donna) che potrebbe, paradossalmente, perfino funzionare.