«C’è poca sinistra dalle parti del Pd. Quando nel nostro partito abbiamo registrato delle fuoriuscite, abbiamo praticato un altro approccio. La lotta politica si fa, ma bisognerebbe evitare di farla precipitare nel buco nero degli insulti». Alla Permanente di Milano, dove si consuma la seconda, affollatissima giornata di discussione ai tavoli di Human Factor, Nichi Vendola difende Pippo Civati. Per tutta la giornata il dissenziente Pd ha subito il tiro al piccione dei follower tendenza Renzi, innescati da un articolo sulla Stampa. Il capo d’imputazione è quello di «sputare nel piatto dove mangia», accusa non elegante rilanciata dal senatore Esposito (quello che aveva già dato del «parassita» alla sinistra Pd, poi pentendosi ma evidentemente non abbastanza). «Vai via così possiamo iniziare a lavorare», dicono i post, «Agisci oppure taci», e via scendendo. Civati reagisce con autoironia, «sto sereno. Me lo dico da solo», alludendo a una sua prossima defenestrazione. A difendere il suo diritto al dissenso non ci sono i suoi compagni di partito. Ci sono, appunto, Vendola, Fratoianni e Scotto che però sono di Sel. Brutto segno.

Alla Permanente è febbre da vigilia. Vigilia del voto greco, della vittoria di Tsipras e del big bang che tutti si augurano. Ma c’è anche un’altra vigilia e un altro big bang: quello della nuova casa della sinistra italiana. Vendola nega che oggi sarà lanciata l’ora X della nascita di una aggregazione, ma è entusiasta per «l’effervescenza» che c’è qui. Ma che «l’effervescenza» sia un preludio a un’eruzione, a una detonazione, insomma a qualcosa di nuovo è inevitabile. Nella sinistra-sinistra il clima è cambiato, rispetto alle risse del dopo voto europeo. E anche nel Pd qualcosa in queste ore si sta rompendo. Sergio Cofferati ha sbattuto la porta. Stefano Fassina ha accusato Renzi di essere «il capo dei 101» e non è stato difeso neanche dai suoi compagni di area riformista, preoccupati di finire tagliati fuori dalla scelta del nome del presidente della repubblica. Cofferati oggi manderà un messaggio alla Permanente, Fassina salirà sul palco. Ci sarà Cuperlo e naturalmente Civati.

Ma il tempo delle scelte sembra arrivato per tutti. In questi giorni a palazzo circola la voce che l’insofferenza di Massimo D’Alema sia arrivata a un punto di non ritorno tanto da immaginare di lasciare il Pd. Come ha fatto Cofferati. Ieri ne hanno scritto alcuni giornali. L’abbandono dell’ex premier potrebbe essere il segnale della compiuta «mutazione genetica» del Pd renziano verso quella che Emanuele Macaluso definisce «la rottamazione del partito» e, dal punto di vista della collocazione politica, «spostare il baricentro del Pd da un compromesso di tipo socialdemocratico, a una visione liberale di sinistra».

Qui, da Milano, sono in molti a chiedere coerenza alla sinistra Pd. Lo ha fatto Massimo Cacciari, intervistato da Luca Casarini: «Invito la minoranza a ragionare per tirare fuori programmi alternativi a quelli di Renzi». Per Vendola, D’Alema «dice cose diverse da quelle del suo partito, capisco il suo disagio». E Fabio Mussi, che con D’Alema ha un’antica tradizione di amicizia e dissenso: «D’Alema ha detto che Renzi è sostanzialmente agli ordini del leader della parte avversa. In guerra si chiama alto tradimento. Dovrebbe essere conclusivo, se le parole hanno un peso». Mussi ce l’ha anche con Fassina, Bersani e compagnia. L’ex segretario in questi giorni accusa Renzi di mettere a rischio «l’unità del Pd». Ma i bersaniani hanno rifiutato l’invito di Civati e Vendola a lanciare un candidato comune al Colle, un nome «NN», cioè «Non Nazareno». «Una battaglia minoritaria» per Alfredo D’Attorre. La casa comune partirà comunque. «Un progetto condiviso per una sinistra di governo vuol dire fare un passo indietro rispetto alle proprie istanze personali e di partito e trovare quello che unisce, non quello che divide», spiega il sindaco Pisapia che oggi arriverà alla Permanente. La ricetta sembra la solita, ma non è così: l’idea di una leadership collettiva potrebbe far riuscire dal forno la ciambella giusta, stavolta.