Ho letto con attenzione l’appello firmato da Emilio Molinari su questo giornale. Un appello chiaro che mi chiama in prima persona a intervenire su un tema fondamentale per la mia storia, per quella del Movimento, e per la fase che stiamo vivendo, nella quale inevitabilmente siamo portati a sentire ancora di più, dentro di noi, il valore inestimabile dei beni pubblici e dei beni comuni e, più in generale, l’importanza delle sfide – ambientali, sociali ed economiche – che siamo chiamati a fronteggiare.

Ho affermato più volte che lego questa legislatura all’approvazione di una legge sull’acqua pubblica. Una legge su cui la politica, il Parlamento, sono gravemente in ritardo. Sono infatti trascorsi dieci anni da quel giugno del 2011 in cui 26 milioni di italiani votarono “sì” ai due quesiti promossi dal comitato Acqua Bene Comune. All’affermazione netta di quella volontà popolare non è stato ancora dato seguito. Ma il lavoro sul tema è stato costante da quando è iniziata questa legislatura, che ha visto anche l’avvicendamento di due governi.

Un percorso di confronto parlamentare, complesso e con posizioni di partenza molto differenti, era stato avviato durante il primo governo Conte. Si giunse a un primo e informale schema di riforma, che in parte guardava al modello francese, superando il modello delle concessioni, e che si fondava su un’architettura a cascata, in cui lo Stato prendeva in mano le redini della pianificazione degli investimenti e della gestione del servizio idrico integrato dal livello nazionale (attraverso un’apposita agenzia) a scendere sui territori, attraverso gli enti di gestione d’ambito.

Il tema dell’acqua pubblica è stato poi inserito fra i punti programmatici del nuovo governo ma la riforma non è decollata. È stata prima stretta fra emergenze e altre priorità e, successivamente, l’avvento della pandemia ha di fatto stravolto l’agenda dei provvedimenti legislativi.

Alcuni tasselli sono stati tuttavia messi. Non appariscenti e definitivi come la necessaria riforma “madre”, ma comunque importanti. Penso, su tutti, all’avvio del piano nazionale per il settore idrico alimentato da risorse non marginali. E ai due interventi normativi che, in successione, hanno blindato la natura totalmente pubblica della società istituita per progettare e realizzare gli investimenti nelle infrastrutture idriche del Sud Italia.

Manca però il grande passo, appunto la riforma del servizio idrico integrato. E su questa inerzia dobbiamo essere severi. Severi anzitutto con noi stessi, parlo del Movimento 5 Stelle, che doveva pretendere quella riforma a ogni costo. L’acqua è la prima stella, quella da cui il Movimento stesso ha preso le mosse. E come tale avrebbe dovuto essere trattata. Durante l’esperienza del Conte I ho auspicato che la legge sull’acqua rappresentasse per il Movimento un’assoluta priorità, per intenderci come quello che il decreto sicurezza rappresentava per la Lega. Così non è stato.

Con la nuova stagione politica abbiamo un’opportunità. Sono infatti convinto che sui temi legati ai beni comuni e all’ambiente la collaborazione tra il M5S e il centrosinistra possa innescare quel cambio di passo atteso da anni. Parliamo di punti identitari per il Movimento ma anche di questioni a cui è sensibile chi si riconosce in una cultura di sinistra, ma a cui non sono state date risposte adeguate negli anni. È tempo di darle. L’acqua pubblica rappresenta proprio il terreno su cui misurare il senso stesso dell’attuale formula politica.

La stagione di rilancio che si apre – anche grazie allo stanziamento di risorse del Recovery Fund – può e deve essere l’occasione per riparlare in modo serio e programmatico di beni comuni, della loro tutela e valorizzazione, a partire dalla messa in sicurezza delle reti idriche. Occorrono molti più investimenti sull’infrastruttura rigorosamente promossi, indirizzati e supervisionati da soggetti pubblici.

Riparta subito il dialogo e poi il lavoro in commissione. Per parte mia farò tutto il possibile per stimolare il confronto e raggiungere quell’obiettivo irrinunciabile che consiste nel dare al Paese una legge modello per il decimo anniversario del referendum sull’acqua pubblica.