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L’annuncio, da parte del Mibact, dei Grandi Progetti per l’area Centro Nord a cui sono stati destinati 80 milioni di euro dell’Art Bonus per il biennio 2015-16, si è abbattuto in questo principio di agosto con lo stesso impeto del ciclone Acheronte. Ad esser oggetto di disappunto sono soprattutto i 18,5 milioni (ai quali devono aggiungersi i 2 milioni della sponsorizzazione Tod’s) per ricostruire l’arena del Colosseo. Galeotto, nel novembre dello scorso anno, fu un tweet di Dario Franceschini che rilanciava una proposta dall’archeologo Daniele Manacorda.

Ma se l’intento di quest’ultimo era di rivestire il «Grande ignudo», risarcendo l’edificio per spettacoli dalle «ferite» provocate dagli archeologi fino a renderlo una rovina dei tempi moderni, spiace constatare che l’acerbo dibattito sia scivolato ora su un terreno più politico che culturale. Complici le dichiarazioni di Franceschini, il quale considera la ricostruzione dell’arena un intervento di valorizzazione finalizzato ad un «uso sostenibile per manifestazioni di altissimo livello culturale» – espressione equivocabile in un paese in cui il termine cultura è spesso sinonimo del suo contrario – si paventano scenari da Las Vegas, dimenticando che Roma ha già dato il suo contributo al kitsch mondiale per aver avuto durante decenni una rotonda spartitraffico del I secolo d.C. provvista di fornici e spalti.

Per non parlare di quei figuranti mascherati da gladiatori che farebbero orrore a qualunque parco a tema ma che in Italia godono – al contrario degli archeologi e delle guide turistiche a partita Iva «sbeffeggiate» da Renzi – di massima protezione. Evidentemente, produrre un’economia illegale sulle spalle dei cittadini non nuoce all’immagine dell’Anfiteatro Flavio quanto pensare a una fruibilità che, pur rispettando forma e decoro del monumento, ne favorisca la giusta comprensione e il pubblico godimento. E mentre nell’ex caput mundi si discute di futuri spettacoli in una presunta arena di cemento – sarà l’effetto del ddl Madia e della regola del silenzio-assenso a bruciare con largo anticipo le code di paglia? – a Pompei si accende l’ennesima polemica.

Dopo la recente inaugurazione della Palestra alla presenza di Franceschini, i visitatori lamentano l’accesso sbarrato all’area. No ministro, no party? Anche in questo caso si fa presto a sparare sul bersaglio sbagliato. Dietro la chiusura della Palestra – rettificata ieri dal Soprintendente Osanna – vi è infatti la mancanza di un numero adeguato di custodi, problema tanto grave quanto paradossale visti gli introiti del sito, che ha già causato lo sciopero sindacale del 24 luglio.

C’è da augurarsi, oltre all’arrivo di un anticiclone, un cambio di prospettiva che riporti al centro del dibattito patrimonio e società civile, politiche culturali e – congiuntamente – del lavoro. Fazioni incattivite e «imperatori» col pollice verso non possono che condurre, infatti, alla morte dei Beni Culturali.