I vigili di Roma Capitale sono arrivati puntuali in via del Foro Italico 531. Le 7 di ieri mattina segnavano la scadenza dell’ultimatum a «lasciare libera da cose e persone l’area». Il centinaio di agenti, però, ha trovato solo 12 individui. Ad aprile erano 256 e nell’ultimo censimento 129. Gli altri sono andati via nei giorni scorsi, per paura. La sindaca Raggi ha comunque parlato di «pugno duro con chi vive nell’illegalità e assistenza per chi ha bisogno». Secondo i 12 sgomberati l’assistenza ricevuta è la promessa di due appartamenti pronti nei prossimi giorni. Ieri notte, intanto, hanno dormito fuori dal campo, con le poche cose messe in salvo. Non sanno dove andare. «L’azione di forza è illegale: contraria alle convenzioni internazionali e alla legge del 17 marzo 2020 che sospende gli sgomberi fino al 31 dicembre», ha dichiarato Carlo Stasolla, presidente dell’associazione 21 Luglio.

L’INSEDIAMENTO del Foro Italico risaliva all’inizio degli anni ’90 ed era tra quelli «tollerati». L’attenzione è montata dopo il servizio de Le Iene del 2 giugno, che ha mostrato la presenza di una discarica abusiva nell’adiacente parco dell’Aniene. Le immagini sono state consegnate a Raggi che ha disposto verifiche sulla discarica, durante le quali sono stati sorpresi degli svuota cantine a gettare rifiuti, e poi lo sgombero. «Nelle prossime settimane ci occuperemo di altri campi rom, come Castel Romano, Barbuta e Monachina», ha annunciato Raggi. Nell’insediamento formale della Monachina è previsto lo sgombero di 5 famiglie il 20 agosto e nella baraccopoli istituzionale di Castel Romano, sequestrata dalla procura il 16 luglio in un’inchiesta per reati ambientali, di 96 abitanti dell’area F il 10 settembre.

Video realizzato da Daniele Napolitano all’interno del campo del Foro Italico pochi giorni prima dello sgombero

NEL FRATTEMPO negli altri campi istituzionali piovono ordini di lasciare le baracche su chi non ha sottoscritto il «Patto di responsabilità solidale». Nelle intenzioni dell’amministrazione Raggi sarebbe dovuto essere lo strumento per il graduale superamento dei campi, obiettivo indicato nel «Piano di Indirizzo di Roma Capitale per l’inclusione delle Popolazioni Rom, Sinti e Caminanti» presentato il 31 maggio 2017. Tre anni dopo il traguardo è lontanissimo e l’avvicinarsi del voto rischia di declinare in chiave securitaria la questione (a capo dell’ufficio speciale rom è stata nominata Barbara Luciani, ex comandante della polizia locale di Frascati).

LA BARACCAPOLI ISTITUZIONALE La Barbuta è a due passi dall’aeroporto di Ciampino, gli aerei RyanAir sfiorano i tetti dei prefabbricati in cui abitano un centinaio di persone. «I campi vanno superati, ma il punto è come. Non si possono buttare le persone per strada, il bonus affitto non funziona», afferma Riba Ahmetovic. Il bonus, perno del «patto», prevede 10mila euro in due anni per il reperimento di abitazioni, ma i privati non affittano ai rom. Quelli di La Barbuta hanno chiesto con una lettera che sia il comune a trovarle.

«TU AFFITTERESTI una casa a un rom, disoccupato, a cui il comune dà 400 euro al mese per due anni? Io abitavo al Camping River e quando ci sgomberarono proposero la stessa cosa. Solo una famiglia riuscì a usare il bonus perché conosceva i proprietari di casa. Noi invece…», scuote la testa Costantino Stacostantin. È finito a vivere in una baracca in riva al Tevere che di notte viene assaltata dai cinghiali. Ha quattro figli, di cui una bambina con la sindrome di Down. È orgoglioso di averli fatti studiare tutti. Sa fare tante cose ma è disoccupato. «Il mio ultimo lavoro è stato con i ragazzi africani. Mi piaceva da morire: potevo insegnare delle cose, mi ricordavano quando ero appena arrivato in Italia e non sapevo far niente. Mancava poco al contratto a tempo indeterminato con cui avrei potuto affittare una casa. Volevo uscire dal campo, temevo che i miei figli seguissero modelli sbagliati. Poi ho perso il lavoro e preso lo sgombero», continua senza nascondere l’amarezza.

«NEL CAMPO non mi sentivo umana. Appena arrivata in questa casa sono rinata: ho trovato un lavoro, ottenuto la cittadinanza e mandato a scuola i figli», dice Sevla S. La casa l’ha occupata a Roma Sud nel 2005, dopo lo sgombero della baraccopoli di via Savini. Ci abita con la sua famiglia numerosa, composta da quattro generazioni. «I campi sono luoghi orribili, ma per chiuderli servono soluzioni alternative. Per prima cosa i documenti: c’è gente che vive qua da 30 anni e non può prendere la tessera sanitaria. Poi le case popolari. Siamo stufi di essere un business», dice.

LO SCORSO ANNO erano circa 5.500 i rom nelle baracche sparse sul territorio romano, tra campi istituzionali (6), tollerati (10) e spontanei (338). I numeri del rapporto «Periferie lontane», redatto dalla 21 Luglio, sottolineano come in assenza di politiche di welfare efficaci, quelle non definite su base etnica, l’annunciato «superamento dei campi» produce solo una dispersione delle persone nei micro insediamenti informali. Come è avvenuto con la chiusura del Camping River nel 2018 e di via del Foro Italico ieri. Così mentre a livello nazionale gli sgomberi diminuiscono, a Roma crescono: 45 nel 2019 (+13%; costo complessivo 1.260.000 euro). «Superare definitivamente i campi è possibile, anche in pochi anni. Ma va ricostruito un rapporto di fiducia con questa comunità ferita, abbandonata per tanto tempo», afferma Stasolla. Il fallimento della giunta Raggi sui rom, tratto comune con quelle di sinistra e di destra avvicendatesi negli anni, è evidente anche per Nino Lisi, di Cittadinanza e minoranze: «Al comune non hanno idea di cosa sia un processo di inclusione sociale. La sindaca ha solo l’esigenza di chiudere i campi. Così la gente finisce sotto i ponti»