Un gruppo di lavoratori vuole creare un sindacato e il capo scrive a tutti i dipendenti per invitarli a pensarci due volte. La storia sembra arrivare dritta da qualche fabbrica inglese dell’Ottocento o da un campo di pomodori dell’Italia odierna. Invece siamo alla Duke University, nel North Carolina. È una delle più prestigiose università private statunitensi, secondo i ranking internazionali è tra le migliori 20 università al mondo e nei giorni scorsi si è aggiudicata il secondo premio Nobel in quattro anni. È lì che i docenti universitari a contratto intendono creare un’associazione che li rappresenti e ne difenda i diritti. L’iniziativa ha allarmato l’amministrazione, che si è affrettata a scrivere ai dipendenti dell’ateneo per invitarli a riflettere prima di iscriversi a un sindacato. «In un ambiente di lavoro sindacalizzato – recita la lettera – l’amministrazione non negozierebbe direttamente con il personale i salari, i benefit e le condizioni di lavoro, ma dovrebbe farlo collettivamente». Ciò che avviene nelle aziende di tutto il mondo, alla Duke University fa ancora paura.

Students cheering during rally.
Students cheering during rally.

I lavoratori che vorrebbero associarsi in un sindacato sono docenti a contratto. Del loro gruppo, che si chiama Duke Teaching First, fa parte Andrea Scapolo. In North Carolina insegna italiano, ovviamente a contratto. «La lettera del provost era attesa. Naturalmente molti colleghi si sono sentiti a disagio, diciamo». Scapolo e i suoi colleghi tengono i corsi e seguono gli studenti con contratti di durata variabile dai pochi mesi ai cinque anni. Il salario? «Le condizioni variano da caso a caso. Qui il salario medio è di 7500 dollari a corso (semestrale), superiore alla media nazionale. Ma qui il carico di lavoro è superiore, si tratta di un ambiente ad “alta pressione” per studenti e professori». Le condizioni di lavoro in genere sono anche peggiori.

I docenti precari delle università americane, infatti, guadagnano mediamente 2700 dollari a corso secondo i dati della «American Association of University Professor» (Aaup). Secondo un rapporto di una commissione parlamentare che ha studiato il fenomeno, la maggioranza dei docenti a contratto non raggiunge la soglia di povertà. Oltre ai bassi salari, i docenti a contratto spesso non godono di benefit minimi come contributi pensionistici e assicurazione sanitaria. A volte, non hanno nemmeno la scrivania e il permesso per parcheggiare nel campus. Eppure, secondo l’Aaup rappresentano il 76% del corpo insegnante universitario statunitense. Sembra l’Italia, dove lo slogan «facciamo come in America» viene sempre preso dal verso sbagliato.

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L’iniziativa di Duke Teaching First sta facendo parecchio rumore in università. «Continuamo a incontrare colleghi che esprimono solidarietà, decidono di firmare le authorization cards per consentire la convocazione di elezioni sindacali, anche se, come ovvio, c’è preoccupazione e paura», racconta Scapolo.
Anche gli studenti hanno appoggiato l’iniziativa dei docenti a contratto. L’associazione United Students against Sweatshops ha raccolto centinaia di firme a sostegno di Duke Teaching First. «È un risultato strepitoso perché a Duke la maggioranza degli studenti è piuttosto conservatrice. Ma loro hanno un potere reale, dato che pagano tasse di iscrizione da 50000 dollari l’anno. E vogliono professori che investono tempo e energie nell’insegnamento dei corsi e che ogni semestre non devono disperatamente cercare sul mercato del lavoro una posizione più stabile».

Le ricerche sull’argomento danno loro ragione. Secondo una ricerca di Audrey Jaeger (università del North Carolina) e Kevin Eagan (Università della California), ad esempio, uno studente che ha frequentato corsi tenuti da docenti precari ha meno probabilità di terminare gli studi.

Ma la causa dei precari non è sostenuta solo dagli studenti, dice Scapolo. «È notevole anche il sostegno dei colleghi con tenure, cioè assunti a tempo indeterminato». A loro, nelle università private, non è consentita rappresentanza sindacale, dopo che una sentenza della Corte Suprema del 1980 li ha equiparati a «manager». Il sostegno ricevuto da Duke Teaching First non deve ingannare: l’organizzazione sindacale dei ricercatori e docenti, negli Usa, è ancora in larga parte un tabù. Non solo ai docenti tenured delle università private la rappresentanza sindacale è negata per legge: in alcuni stati, tra cui lo stesso North Carolina della Duke University, i dipendenti pubblici in toto (università comprese) non possono negoziare collettivamente salari e condizioni di lavoro. Il risultato è che le i sindacati sono presenti solo nel 21% degli atenei privati e nel 35% di quelli pubblici.

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Laddove ci sono, le condizioni di lavoro dei professori a contratto sono migliorate nettamente. La American Federation of Teachers, il maggiore sindacato statunitense tra i professori universitari (200000 iscritti), ad esempio, è riuscito a portare a 10000 dollari a corso il compenso dei docenti precari dell’Università della California. L’aumento dei salari, tra l’altro, non corrisponde a maggiore inefficienza. Mark Cassell, della Kent State University, che ha esaminato l’impatto della sindacalizzazione sulle performance universitarie, ne ha tratto una conclusione univoca e sorprendente: «La sindacalizzazione – scrive Cassell – contribuisce a migliorare i bilanci delle università e ad aumentare le percentuali degli studenti che completano gli studi e i loro voti». Secondo il suo studio, laddove i sindacati sono presenti, le università spendono meno in burocrazia e investo di più all’attività di insegnamento. Alla luce di questi dati, l’opposizione di Duke all’iniziativa dei docenti precari appare anacronistica.

Anche perché i tentativi di organizzare i precari delle università americane potrebbero moltiplicarsi nel prossimo futuro. «Il nostro gruppo – spiega Scapolo – è parte di Faculty Forward, una campagna nazionale che ha come scopo quello di migliorare le condizioni di lavoro dei docenti a contratto, nel contesto di una discussione sullo stato presente e futuro dell’ università negli Stati Uniti». La campagna è stata lanciata dalla Service Employees International Union (Seiu), sindacato con due milioni iscritti attivo soprattutto nel settore dei lavoratori dei servizi, tra i più toccati dalla precarietà. È la Seiu, ad esempio, che sta portando avanti la rivendicazione di alzare a 15 dollari l’ora il salario minimo dei lavoratori dei fast-food, che recentemente ha ricevuto l’adesione anche del vicepresidente Usa Biden (che secondo molti media è il possibile candidato alla successione di Obama) ed è stata adottata nel programma del partito democratico.

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La richiesta di Faculty Forward è simile: ogni corso deve essere pagato almeno 15000 dollari. Secondo la Seiu, già ottomila docenti precari hanno aderito alla campagna, e in diverse università (Tufts, Boston, Georgetown) le neonate organizzazioni sindacali hanno strappato notevoli aumenti nei salari minimi dei contrattisti. Se il contagio raggiungesse Duke, il movimento potrebbe fare un salto di qualità, secondo Scapolo: «Duke è una istituzione leader nel sud degli Stati Uniti: migliorare le condizioni a Duke significherà migliorare le condizioni in molte altre università della regione». Cervelli in fuga, ma con le idee chiare.