«Per me quest’immagine non riguarda solo l’omofobia in Russia. È un’opportunità. L’opportunità, per tutti noi, di chiederci se siamo abbastanza tolleranti». Parole di Mads Nissen, medaglia d’oro al World Press Photo 2014 per il suo lavoro Homophobia in Russia.

Nissen, 36 anni, è un fotogiornalista danese che si è formato alla scuola dei migliori dove prima del flash e dell’obiettivo ti insegnano a scegliere un punto di vista. Jon and Alex è lo scatto che gli ha garantito il successo coronando il suo sogno di riuscire davvero a raccontare storie importanti al resto del mondo. Una di queste parla dei (non) diritti degli omosessuali in molti paesi dove amare chi si vuole, come si vuole e farlo alla luce del sole, è ancora un lusso.

Jon, 21 anni e Alex, 25, attivisti della comunità Lgbtq di San Pietroburgo, sono una coppia ritratta nel più quotidiano dei gesti tra due amanti, quello di scambiarsi il proprio amore. Nella loro camera da letto dalle tende spesse e dalla luce soffusa, sono entrati milioni di occhi riuscendo, non si sa come, a non lacerare il prezioso velo dell’intimità. La fotografia, «esteticamente potente perché carica di umanità», secondo la giuria del premio, fa parte di un lavoro di oltre 100 immagini raccolte in due diversi viaggi, a cavallo tra il 2013 e il 2014.

La prima volta Nissen è diventato l’ombra di varie coppie, immortalate nella loro dimensione più intima e quotidiana; l’anno dopo è tornato in Russia per documentare, con una vocazione maggiormente di inchiesta, le violenze ai danni della comunità Lgbtq. Infatti secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch sull’omofobia in Russia – pubblicato nel dicembre 2014 – le aggressioni nei confronti degli omossessuali si sono intensificate a partire dal 2013. In alcuni casi gli intervistati hanno raccontato di essere stati attaccati dalle ronde che, sempre più numerose, sono apparse in molte città dalla fine del 2012. Questi gruppi di nazionalisti radicali adescano i ragazzi omosessuali con la scusa di un falso appuntamento e a quel punto, abusano di loro, li umiliano e filmano il tutto diffondendolo poi su internet. «Ho sentito la bocca piena di sangue ma solo dopo mi sono accorto che mi avevano rotto la mascella in due», ha raccontato una delle vittime. Altri hanno denunciato violenze psicologiche subite anche in luoghi pubblici.

Il rapporto si intitola «Licenza di nuocere». Nella Russia di Putin di questo si tratta, dopo l’estensione a tutto il territorio nazionale della legge, già in vigore in 9 regioni, che vieta la propaganda omossessuale. In Russia quindi è reato anche solo parlare in pubblico di amore, sogni, diritti dei cittadini gay. Figuriamoci manifestare o scambiarsi un gesto d’affetto. Non siamo certo ai livelli dell’articolo 121 del codice penale dell’Urss, introdotto nel 1934 da Stalin nel suo Termidoro sessuale e cancellato nel ’93, che prevedeva 5 anni di carcere per il reato di omossessualità. Ora la pena è una multa, in molti casi anche molto salata, ma la decisione quasi unanime della Duma, in quel gennaio del 2013, ha dimostrato come sia facile fare un salto indietro nel tempo e come sia difficile cancellare tanti anni di omofobia.

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Abbiamo raggiunto Mads Nissen al telefono, poco dopo l’annuncio della vittoria.

«Jon e Alex» è uno scatto che fa parte di un progetto più ampio dal titolo «Homophobia in Russia»; da dove nasce?

È iniziato tutto in un luminoso giorno d’estate nel giugno del 2013 a San Pietroburgo. «Are you a faggot?, Sei un finocchio? Sei un fottuto finocchio?». Un giovane dalla testa rasata e dalla tenuta sportiva gridava in faccia a Pavel. Pavel Lebedev all’epoca aveva 23 anni. Camicia arancione e sorriso insicuro. Lo avevo conosciuto per caso il giorno prima quando mi aveva raccontato della sua decisione di uscire allo scoperto e del prezzo che aveva dovuto pagare per seguire il suo cuore. Quel giorno, ancora una volta, era stato insultato. A quell’aggressione verbale aveva risposto, calmo: «Sì, sono omossessuale». Ha fatto giusto in tempo a pronunciare la parola “omossessuale” prima che il primo pugno lo colpisse. Il giovane dalla testa rasata chiaramente non aspettava altro. Accecato dall’odio, non si trattenne oltre e provò a tirargli un altro pugno in faccia.

Cosa hai provato?

Ero indignato. Com’è possibile che succeda una cosa del genere oggi? Come si può pestare un giovane delicato e schivo come Pavel, sputargli addosso, semplicemente perché è attratto dagli uomini e non dalle donne? È incredibile e ingiusto.

Non hai pensato di intervenire?

Ho pensato che qualcosa andasse fatto ma anziché inserirmi nella zuffa, ho iniziato a scattare. Ho iniziato a documentare le tante differenti facce dell’omofobia nella Russia di oggi.

E cosa hai visto?

Violenti attacchi da parte di gruppi omofobi che rapiscono gli omossessuali e li torturano per ore, filmando il tutto per poi potersene fare vanto sui social network. Ho fotografato coppie lesbiche terrorizzate che un giorno i figli venissero strappati loro con la forza. Ho assistito ai processi nei quali le persone venivano accusate sulla base della nuova legge che vieta la propaganda omosessuale. Questo e molto altro. A un certo però ho sentito l’esigenza di scattare fotografie che restituissero realmente il senso di tutto questo: l’amore e l’irrefrenabile desiderio che porta due persone a scegliersi, indipendentemente dal loro orientamento sessuale.

E da qui come sei arrivato a Jon e Alex?

Me li hanno presentati una sera di maggio, il 19 maggio 2014. Siamo usciti insieme, abbiamo chiacchierato davanti a una birra e alla fine sono stato invitato nella loro camera da letto.