Dal cuore della Calabria Sergio Mattarella lancia un preciso segnale al governo di destra-centro, che si appresta a varare l’autonomia differenziata a ridosso delle europee. Non cita la riforma all’esame del Parlamento, come da sua abitudine, ma spiega: «Le regioni meridionali dispongono oggi di un reddito che non raggiunge quello di altre aree nazionali. Per alcuni aspetti i loro cittadini fruiscono di servizi meno efficienti. Nel Meridione il tasso di occupazione è più basso rispetto al Centro e al Nord» e questo acuisce il fenomeno dello «spopolamento che andrebbe frenato». «Lo sviluppo della Repubblica ha bisogno del rilancio del Mezzogiorno. Una separazione delle strade tra territori del nord e del sud recherebbe gravi danni agli uni e agli altri».

UN MESSAGGIO CHIARISSIMO, che arriva alla vigilia del 1 maggio. Il Capo dello Stato, in visita a un distretto agroalimentare del cosentino, ribadisce che il lavoro «non è una merce», ma «un elemento base della nostra identità democratica: è anzitutto libertà dal bisogno e strumento per esprimere se stessi, per realizzarsi nella vita». La sua «connessione con la realizzazione della personalità umana conferisce al lavoro un significato ben più grande di un bene economico; lo rende elemento costitutivo del destino comune».

Mattarella parla ai lavoratori e agli amministratori con parole tutt’altro che di rito. E fa un’analisi realistica della situazione dell’occupazione in Italia, con le tante ombre che la caratterizzano: il precariato, i bassi salari che non riguardano solo i giovani e che vedono l’Italia fanalino di coda tra i grandi paesi Ue, le disparità sociali e territoriali ancora così forti. Sottolinea il ruolo «insopprimibile» dei sindacati per la contrattazione e per la salvaguardia di un «welfare universalistico». E anche per rimettere in moto un ascensore sociale che da qualche tempo si è «inceppato». «Viviamo una stagione in cui le condizioni di partenza determinano differenze e distanze non facilmente recuperabili, a scapito dei giovani che provengono da condizioni sociali più deboli. È un grave spreco dell’ampio patrimonio di intelligenze e di risorse di cui l’Italia dispone».

ALLE ISTITUZIONI e al governo. che ieri con il ministro Calderone ha di nuovo festeggiato l’aumento dei tassi di occupazione, lancia un avvertimento: «Mai sentirsi appagati fino al raggiungimento di una buona e piena occupazione. Gli indicatori positivi della congiuntura devono incoraggiarci a proseguire con intelligenza nel senso di una crescita economica fondata su equità e coesione. Le politiche del lavoro non possono che orientarsi verso una riduzione degli squilibri». Non ci sono solo i numeri: «Il lavoro», insiste il presidente, «deve essere libero da condizionamenti, squilibri, abusi che creano emarginazione».

IL CAPO DELLO STATO TOCCA un altro tasto delicato che investe in particolare il settore agroalimentare: lo sfruttamento dei migranti. «Aree grigie di lavoro che confinano con l’illegalità, con lo sfruttamento o addirittura se ne avvalgono, generano anzitutto ingiustizia e, inoltre, insicurezza, tensioni, conflitti. E offrono spazi alle organizzazioni criminali. Vigilare, quindi, è un preciso dovere. Sulle delinquenziali forme di caporalato. Sulle condizioni inumane in cui vengono, scaraventati lavoratori stagionali, talvolta senza nome né identità.

DI QUI IL SECONDO MONITO alla maggioranza: «La gestione legale dell’immigrazione rappresenta una priorità. L’Italia e l’Europa hanno la forza per affrontarla compiutamente. Purtroppo, fin qui è mancata, tra i Paesi dell’Unione, la lungimiranza e la necessaria solidarietà. L’auspicio e, in parte significativa, anche la constatazione, è che stia maturando una maggiore consapevolezza». Mattarella cita le recenti decisioni Ue che, «pur incomplete, hanno segnato l’avvio di un nuovo percorso, con il risultato di grande rilievo di aver finalmente superato l’insostenibile accordo di Dublino».

Il presidente cita anche il dramma delle morti sul lavoro: «Non possiamo accettare lo stillicidio continuo delle morti, provocate da incurie, da imprudenze, da rischi che non si dovevano correre. Mille morti sul lavoro in un anno rappresentano una tragedia inimmaginabile. Ciascuna di esse – anche una sola – è inaccettabile».