«Intorno all’antifascismo è doverosa l’unità popolare, senza compromettere d’altra parte la varietà e la ricchezza della comunità nazionale, il pluralismo sociale e politico, la libera e mutevole articolazione delle maggioranze e delle minoranze nel gioco democratico». Cita Aldo Moro, il presidente della Repubblica, e ricordando un intervento che il leader democristiano fece nell’ormai lontano 1975, Sergio Mattarella richiama il Paese all’unità nel segno dell’antifascismo. E al tempo stesso invita a non perdere mai la memoria di quel che è stato: «Senza memoria, non c’è futuro».

PER IL 25 APRILE, «giorno fondativo della nostra Costituzione», il capo dello Stato va in visita a Civitella in val di Chiana, cittadina nell’aretino che il 29 giugno 1944 fu teatro di uno dei più sanguinosi massacri da parte dei nazifascisti. Quel giorno furono trucidati 244 civili, anche ragazzi, bambini e due sacerdoti. Solo a Marzabotto e a Sant’Anna di Stazzema ne furono ammazzati di più.

COSÌ MATTARELLA prima sottolinea che «la magistratura militare e gli storici, dopo un difficile lavoro di ricerca durato decenni, hanno finora documentato sul territorio italiano cinquemila crudeli e infami episodi di eccidi, rappresaglie, esecuzioni sommarie». E poi va alle origini del fascismo, rimarcando che il regime «aveva in realtà, da tempo, scoperto il suo volto, svelando i suoi veri tratti brutali e disumani, come ci ricorda il prossimo centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti».

Fu una lunga scia di sangue quella che accompagnò il cammino dell’Italia verso la Liberazione. Non ci fu solo «la guerra ingiusta e sciagurata» che l’Italia combatté «totalmente sottomessa alla Germania imperialista di Hitler», e che portò «alla disastrosa ritirata di Russia, alle brutali repressioni compiute in Grecia, nei Balcani, in Etiopia, alle deportazioni di ebrei verso i campi di sterminio, al sostegno ai nazisti nella repressione della popolazione civile».

L’8 SETTEMBRE però «non tutti si comportarono allo stesso modo. Molti italiani scelsero la via del riscatto. Un riscatto morale, prima ancora che politico, che recuperava i valori occultati e calpestati dalla dittatura. La libertà al posto dell’imposizione. La fraternità al posto dell’odio razzista. La democrazia al posto della sopraffazione. L’umanità al posto della brutalità. La giustizia al posto dell’arbitrio. La speranza al posto della paura».

Fu lì che nacque la Resistenza, un movimento plurale, anche con ideali diversi, che però «trovò la sua unità nella necessità di porre termine al dominio nazifascista sul nostro territorio, per instaurare una convivenza fondata sul diritto e sulla pace». Eroica, ricorda Mattarella, fu la Resistenza «dei circa 600mila militari italiani che rifiutarono di servire la Repubblica di Salò. Furono passati per le armi, come a Cefalonia e a Corfù, o deportati nei lager tedeschi. Furono definiti “internati militari”, per negare loro persino lo status di prigionieri di guerra. Ben 50mila di loro morirono nei campi di detenzione in Germania, a causa degli stenti e delle violenze».

NEL RICHIAMARE POI «le coraggiose lotte operaie, la rete clandestina della solidarietà, la rinascita del protagonismo delle donne costrette con il fascismo a un ruolo di subalternità», il capo dello Stato chiude il suo intervento con lo sguardo rivolto all’odierna, terribile situazione internazionale: «A differenza dei loro nemici, imbevuti del culto macabro della morte e della guerra, i patrioti della Resistenza fecero uso delle armi perché un giorno queste tacessero e il mondo fosse finalmente contrassegnato dalla pace, dalla libertà, dalla giustizia. E in un tempo di grande preoccupazione, segnato da aggressioni, guerre e violenze, confidiamo, costantemente e convintamente, in quella speranza».