Nel suo discorso di Washington Benjamin Netanyahu ha trovato il modo di citare Game of Thrones (metafora per il presunto tentacolare intrigo politico-terrorista attuato dall’Iran in medio oriente) ma il suo intervento ha ricordato più precisamente una puntata di House of Cards per il cinismo politico che ha espresso.

Invitato a parlare al Congresso dalla ledership repubblicana di John Boehner d’accordo con Ron Dermer (l’ambasciatore israeliano) ma senza consultare la Casa Bianca, il primo ministro di Israele ha proceduto per un’ora a denigrare l’iniziativa diplomatica «iraniana» perseguita da Obama. Per Netanyahu si è trattato di un coup de théatre che avrebbe dovuto invocare gli storici antecedenti di Winston Churchill per l’esasperata implorazione interventista. Il premier è apparso nelle vesti di un leader dell’opposizione e ha usato le camere congiunte per criticare aspramente la politica estera dell’ospite. Il discorso che da due mesi incombe come una spade di Damocle sulla politica americana, ha marcato il culmine di un contenzioso senza precedenti fra i due inamovibili alleati mai prima così apertamente in contrasto.

Nel giorno in cui il New York Times ha pubblicato una vignetta raffigurante un Netanyahu sorridente che inaugurava un insediamento abusivo nel giardino della casa Bianca, il premier ha giustificato tutti timori espressi del presidente. Con consueta scaltrezza politica Netanyahu, accolto con standing ovation ha esordito dicendosi «sorpreso e dispiaciuto» per le polemiche e profondendosi subito una lista di ringraziamenti per l’amicizia e gli aiuti ricevuti, in particolare quelli militari utili a «combattere Hamas l’estate scorsa e proteggere gli israeliani dai missili palestinesi».

Il riferimento alla campagna di Gaza in cui le bombe israeliane hanno ucciso oltre 2200 palestinesi di cui 513 bambini, è parso calcolato soprattutto per imbarazzare ulteriormente Obama. Quando poi ha aggiunto «e sono solo le cose che posso dirvi, molti altri aiuti di Obama li so solo io» è sembrata addirittura una minaccia ricattatoria. Netanyahu si è poi addentrato nello specifico, esortando il parlamento di «un paese che con Israele spartisce l’ideale di una terra promessa nel segno della libertà» a non siglare con l’Iran un accordo insufficientemente severo contro la proliferazione.

Il primo ministro dell’unica nazione mediorientale dotata di armi nucleari ha poi prospettato lo scenario apocalittico di una mortifera corsa nucleare in medio oriente guidata da estremisti islamici. L’analisi allarmista, calcolata per esasperare la psicosi e denunciare la soluzione diplomatica è stata speculare al discorso tenuto dallo stesso Netanyahu nel 2002 quando aveva perorato l’intervento di Bush in Iraq.

La palese, tragica falsità di affermazioni di quel discorso non ha impedito a Netanyahu di applicare l’identico teorema della paura alla situazione attuale. O meglio ad una versione appena riveduta della stessa identica situazione a cui erano semplicemente stati cambiati i nomi di luoghi e persone. Netanyahu ha parlato di una tentacolare strategia del terrore impiegata da Terhan per «divorare paese dopo paese», sviluppare armi nucleari e distruggere lo stato ebraico; un’analisi geopolitica del tutto anacronistica rispetto agli attuali sviluppi regionali che vedono addirittura allineati gli interessi anti-Isis di Usa e lo «stato canaglia» islamico. Gli interessi di Netanyahu sono invece semmai allineati con quelli di una risorgente ala neocon del partito repubblicano; la dottrina di entrambi dipende dal mantenere elevato lo stato di tensione e aperte le porte dell’intervento militare. Per entrambi la distensione e un eventuale successo dei negoziati iraniani di Obama costituiscono una minaccia diretta alle prossime reciproche fortune elettorali.

Il discorso di ieri è stato molto più che un semplice strappo al protocollo ma rappresenta invece una spaccatura profonda ed epocale. Lo schieramento aperto del premier israeliano con l’opposizione a Washington mina per la prima volta in modo serio il teorema di alleanza di ferro fra i due paesi. Nessuno si illude sui continuati aiuti americani ad Israele ma la fronda dei 42 parlamentari democratici che ieri hanno disertato l’aula è significativo. Il calcolo dei repubblicani è stato di mettere i democratici di fronte alla scelta «impossibile» fra il presidente e l’appoggio a Israele sotto gli occhi degli elettori ebrei (e dei finanziatori come il miliardario ultrasionista Sheldon Adelson presente ieri in aula).

Ma, l’azzardo orchestrato con Netanyahu ha un risvolto pericoloso: per la prima volta ha fornito una ragione «legittima» per incrinare il supporto totale e incondizionato a tutto ciò che è israeliano da parte di una componente politica americana nel nome della lesa sovranità. Per i repubblicani il pericolo è di apparire pronti a tramare con un leader straniero per interesse politico, perdipiù alienando quel 62% di americani che i sondaggi danno favorevoli ad un accordo con l’Iran.