«I bambini, chi penserà ai bambini?», grida Homer in un episodio dei Simpson. A un certo punto la manifestazione di piazza San Giovanni ricorda quella scena. Dal palco intervengono a stretto giro: Solange Hutter, preside che denuncia la moltiplicazione dei «casi di morte di bambini a causa delle mascherine» e invita piuttosto a indossare foulard «perché non siamo malati e l’Italia non è un ospedale a cielo aperto»; Marco Pacori, psicoterapeuta esperto di ipnosi che afferma: «Il vero obiettivo non siamo noi, ma i bambini che svilupperanno disturbi ansiogeni e germofobia»; Dario Miedico, che rivendica di essere ancora un dottore nonostante la radiazione dall’ordine perché «per tutta la mia vita la vita dei bambini è stata la più grande preoccupazione» e afferma che il Covid-19 esiste, ma di virus ce ne sono anche molti altri.

Si infrange così il tentativo di una parte degli organizzatori di mantenere il focus della giornata su temi di altra natura. «Non mettiamo in dubbio la pandemia, ma il modo in cui viene gestita», avevano ripetuto in apertura sottolineando le parole chiave: sovranità, lavoro, reddito. Cose scritte dentro la Costituzione, che viene richiamata in molti interventi come baluardo contro i poteri stranieri di Unione europea, Stati Uniti e soprattutto Cina e strumento da utilizzare contro il neoliberismo imperante. «No alla dittatura sanitaria» e «Libertà» sono le parole che ricorrono più spesso sui cartelli. Sventolano i tricolori e una bandiera «Italexit, Europa zitta». Ci sono i vessilli di «Stop al 5G» e «Fronte sovranista italiano». Un gruppetto indossa maglie blu con la scritta: «Metodo Di Bella». Su uno striscione la frase «I trattamenti sanitari non li decidono i miliardari» è firmata: «Proverbio abruzzese».

In piazza ci sono anche due vigili romani del sindacato Ugl, con una grande bandiera a testa. «Non siamo contro le mascherine, anzi – spiega il segretario provinciale Sergio Fabrizi -. Il problema secondo noi è l’ordinanza della Regione Lazio che risulta ambigua e di difficile applicazione». Dal microfono alcuni interventi ripetono che il problema non è il virus ma la gestione della crisi sanitaria, che ha colpito tantissime partite Iva e lavoratori di turismo e ristorazione mentre moltiplicava i profitti di pochi miliardari. Quando però si invita a mantenere il distanziamento e indossare le mascherine, «perché altrimenti non avremmo avuto l’autorizzazione», dal basso rispondono alla meglio con un «e allora che stamo a fa’ qua?», alla peggio con insulti e parolacce. Circa la metà dei manifestanti non copre naso e bocca, gli altri sì. Un uomo senza mascherina viene fermato dalla polizia tra le urla «vergogna, vergogna».

Questo «popolo» sembra attraversato da una tensione latente: c’è chi è preoccupato di differenziarsi dai gilet arancioni e Pappalardo, ma anche chi nei chiacchiericci si dice arrabbiato per le divisioni. Del resto l’obiettivo della «Marcia per la liberazione», nome bizzarro per un’iniziativa stanziale, era «liberare l’Italia da gabbia europea, governi e partiti asserviti all’oligarchia di Bruxelles e Berlino». E per raggiungere simili mete l’unità della gente è il primo passo necessario.

Dal palco dicono di essere 7 mila. A occhio sembrano meno di un terzo, ma si tratta di stime. Il dato certo arriva poco dopo sui cellulari che tutti hanno in tasca o in mano: 5.724 nuovi contagi a livello nazionale e 9.505 attualmente positivi solo nel Lazio. Non raggiungono il centinaio, invece, i gilet arancioni che manifestano insieme a Forza Nuova qualche chilometro più in là, verso il Tevere. Piazza Bocca della Verità è circondata da tutti i lati dalle camionette della polizia, che a tratti chiudono gli accessi. Nonostante le promesse di «pugno di ferro» anche qui le mascherine le indossa solo chi vuole. E sono in pochi. Come in piazza San Giovanni si ascoltano verbosi richiami alla Costituzione, interpretata variamente. Qualcuno applaude. I fascisti dietro scuotono la testa.

CORREZIONE

Differentemente da quanto scritto nell’incipit dell’articolo, nel cartone animato a pronunciare la frase citata non è Homer Simpson, ma Helen Lovejoy. Alcuni lettori ce lo hanno segnalato, li ringraziamo.