La «cosa rossa» va in soffitta, ora un nome c’è, è «Sinistra italiana». Sulla rete suona vintage invece «è semplice, plurale, espressivo», spiega Alfredo D’Attorre al Teatro Quirino di Roma dove ieri si presentano i nuovi gruppi parlamentari. Teatro troppo pieno, i pompieri a un certo punto chiudono gli accessi. Ma a mezzogiorno le centinaia di persone restate fuori battono sulle porte al ritmo di «Bella ciao». Stefano Fassina, Nicola Fratoianni, Arturo Scotto, D’Attorre e il giovane Marco Furfaro corrono ai ripari: escono in strada e improvvisano un doppione dei loro comizi «per non deludere i compagni» venuti anche da fuori per essere presente al gran giorno. È l’anniversario della Rivoluzione d’Ottobre ma qui, come altrove, non se lo ricorda nessuno. «Una congiuntura astrale, un allineamento di stelle e astri, la certezza di un appuntamento che sconvolgerà il mondo ci ha portato qui proprio il 7 novembre», ironizza Fabio Mussi. Non c’è dubbio: il Quirino non è il Presidium, e nella sala per il momento non si riconosce quel Lenin che John Reed descrive come «lo strano capo popolare, incolore, privo di umorismo ma dotato della capacità di spiegare idee profonde in termini semplici».

Si riconoscono però militanti di Sel, dei circoli storici del Pd di Roma – Giubbonari, Trastevere – e tanta gente senza casa politica che si affaccia per vedere se questa volta è la volta buona (non renziana), dopo tanti treni deragliati alla prima curva. «Sì» è la sigla dei nuovi gruppi, e D’Attore giura che sì è «un nuovo inizio»: per una «sinistra larga, popolare, patriottica nel senso che vuole bene al paese e a quanto di meglio ha prodotto nella sua storia, la Costituzione. La nostra non sarà una sinistra di nicchia o di testimonianza, farebbe il gioco del partito della nazione». L’ex Pd oggi è scravattato e ha già perso la voce a causa dell’arringa di strada. Si scusa: «non sono più abituato». «E ti ci devi riabituare» lo avvisano dalla platea. Applausi quando si rivolge a Bersani, il suo ex maestro: «Capisco il suo tormento e il suo dolore, le cose che lui dice sono giuste, ma quelle cose nel Pd di oggi sono impossibili». Ancora più applauso quando si rivolge al suo ex sottosegretario Guerini, che ha scoccato la classica accusa, «chi esce dal Pd fa il gioco della destra». «Tra jobs act, riforma sulla scuola, tagli alla sanità e Ponte di Messina», risponde, «a fare il gioco della destra siamo noi o il segretario di cui lui è il vice?». «Sappiamo che la sinistra non si esaurisce in un gruppo parlamentare, quello di oggi non è un partito, è un contributo», dice Nicola Fratoianni, deputato movimentista viceversa in cravatta per l’occasione, ma «chi dice che è solo una manovra di palazzo sappia che quel palazzo è il parlamento della Repubblica». È una polemica light con Pippo Civati, assente. Ma non è giorno di battibecchi e chissà se anche su questo oggi è un nuovo inizio.

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Stefano Fassina, il primo ad uscire dal partito della nazione, attacca «il liberismo da Happy days del segretario del Pd. Saremo partigiani del lavoro. Abbiamo scelto di avviare i gruppi parlamentari intorno alla legge di stabilità perché la credibilità non si conquista con l’autocertificazione, tanti si dicono di sinistra, ma sui contenuti» e questa manovra «attua il programma che Berlusconi non è riuscito ad attuare». Parla anche di Roma. In città circola l’idea che sarà lui a correre da sindaco per la sinistra. Idea «prematura», dice, certo è che «la fase di Marino si è chiusa». Ma il nodo delle amministrative arriverà al pettine più avanti.
Intanto dal palco, chiamati da Monica Gregori e Alessia Petraglia, sale qualche deputato del nuovo gruppo (sono 31, i 25 di Sel più gli ex Pd Fassina, Gregori, D’Attorre, Folino, Galli, e di ritorno dal misto anche Claudio Fava, già eletto in Sel) ma anche tante voci e volti delle aziende in crisi, dei comitati No Triv, dell’Arci (la presidente Francesca Chiavacci). Tutti in piedi alla commovente testimonianza di Dario Vassallo, fratello di Angelo, sindaco di Pollica ucciso dalla camorra nel 2010. Arrivano messaggi: quello di Laura Boldrini («Oggi è più ampio il campo d’azione di una forza progressista orgogliosa dei propri principi e valori»). Quello di Max Fanelli, malato di SLA, che chiede una discussione parlamentare sul fine vita per dare seguito alla legge di iniziativa popolare dell’associazione Coscioni. Il messaggio di Sergio Cofferati: «Lavoriamo insieme per costruire appuntamenti aperti nei territori, per far scaturire una proposta politica nuova ed autonoma». Quello di Nichi Vendola, che una vicenda familiare tiene lontano da Roma: «Tocca a noi rimetterci in cammino, abituarci allo scambio plurale delle idee, avere come bussola un vincolo di popolo». Scalda la platea la giovane deputata pugliese Annalisa Pannarale. E la senatrice Loredana De Petris, protagonista della battaglia contro la riforma costituzionale. Annuncia presto un gruppo anche a palazzo Madama. Qui però va aperta una parentesi. Il collega Francesco Campanella, ex M5S oggi nel misto con la casacca di Altra Europa per Tsipras, al Quirino dice infervorato che «oggi è un grande giorno, siamo tantissimi e non siamo neanche tutti». Ma fa sapere che al nuovo gruppo non aderirà, per ora. E con lui il collega Fabrizio Bocchino. Anche il vendoliano Dario Stefàno non sarà della partita. Una defezione c’è anche alla camera: l’ex grillino Zaccagnini, ora in Sel.

In platea l’occhio allenato nota l’assenza di qualche faccia della sinistra radicale. La presenza sorprendente di Giorgio La Malfa. In platea, venuti ad ascoltare, uomini e donne della «sinistra italiana»: l’archeologo Salvatore Settis, il costituzionalista Massimo Villone, il fondatore del manifesto Valentino Parlato, Aldo Tortorella, la portavoce della coalizione sociale di Landini Francesca Redavid, Rosanna Dettori, segretaria della Cgil Funzione pubblica. L’avvocato Felice Besostri, autore del ricorso che ha smontato il Porcellum. E Vincenzo Vita, Michele Prospero, Giuliana Sgrena, Franco Giordano, Pietro Folena, Riccardo De Fiores, Andrea Ranieri. «Facciamo un patto», chiude Arturo Scotto, «chiamateci pure cosa rossa. A patto che il Pd si chiami ’cosa bianca’ e i 5 stelle, ’cosa grigia’. E ’cosa nera’ il sodalizio tra Berlusconi e Salvini».