A una manciata di ore dal compimento dell’iter, sofferto e insoffribile, del disegno di legge sulla deportazione dei migranti «clandestini» in Ruanda da parte della Camera dei Comuni di lunedì, cinque di loro, tre uomini una donna e una bimba di sette anni, annegavano all’alba di ieri nella Manica dopo aver tentato la traversata all’altezza di Wimereux, a sud di Calais.

La scena avveniva pressoché in diretta grazie allo sciacallaggio mediatico degli obbiettivi della Bbc, schierati sul bagnasciuga. Lo stracarico gommone aveva a bordo oltre un centinaio di persone: circa la metà è stata soccorsa dalla marina francese, il resto ha continuato la traversata scortata dai britannici fino a Dover.

LA SERA PRIMA, dopo un ultimo estenuante dibattito finito tardi, la «legge Ruanda» aveva superato tutti gli ostacoli frappostigli dalla Camera dei Lord, con la quale aveva ingaggiato negli ultimi mesi il cosiddetto ping pong legislativo: il rimbalzo tra le due camere del testo irto di emendamenti (nonostante non ammonti ad altro che ostruzionismo, vista la facoltà di prevalere sulla Camera – non elettiva – dei Lord riservata comunque ai Commons).

Il Bill è il provvedimento al quale il governo di Rishi Sunak ha legato la sopravvivenza elettorale, propagandisticamente riassunta in questi ultimi mesi dal cervellotico slogan «fermiamo le barche». Lo stesso Sunak, oggi, commentava la tragedia rincarando la dose: «Serve a ricordare quanto importante sia il nostro piano», ha detto mentre si recava a Varsavia per un incontro Nato sull’Ucraina. Solo poche ore prima, in una conferenza stampa nella quale era apparso visibilmente irritato, aveva annunciato in pompa magna l’avvenuto passaggio del disegno di legge, ribadendo bellicosamente che le deportazioni avverranno «costi quel che costi» – ormai quel whatever it takes ha fatto scuola – tra dieci settimane al massimo e che continueranno costantemente lungo tutta l’estate.

NE RICORDIAMO ANCORA una volta il contenuto: la legge prevede la spedizione nel paese africano dei migranti illegalmente sbarcati nel Regno Unito dimodoché le loro richieste di asilo siano ivi prese in considerazione, così da ridurre in un colpo solo l’enorme accumulo di domande di cui Londra è intasata e fungere allo stesso tempo da efficace «deterrente» ad altri tentativi di sbarco. Un neocoloniale appalto esterno – in questo caso al Ruanda, un paese dalla fedina umanitaria ben poco rassicurante e che potrebbe rispedire i migranti ai paese da cui erano fuggiti – della gestione del problema migratorio che le destre xenofobe di tutta Europa non vedono l’ora di scimmiottare.
Il governo ha finora coartato ogni reazione di dissenso interna ed esterna, costringendo i tribunali nazionali a considerare il Ruanda «sicuro», limitandone l’autonomia e impipandosene della Corte europea dei diritti umani come degli appelli che ora scatteranno a raffica da parte di singoli e organizzazioni umanitarie.

Poco importa che la legge costituisca un pericoloso precedente, come commentato oggi dall’Alto commissario per i diritti umani dell’Onu Volker Türk e il responsabile dei rifugiati Filippo Grandi. Ai quali è andata immediatamente ad aggiungersi la richiesta di abbandono dell’intera operazione da parte del consiglio d’Europa attraverso il suo Commissario per i diritti umani, Michael O’ Flaherty.

UNICA VOCE patentemente soddisfatta in mezzo ai fischi della platea, quella del governo ruandese, complici forse le montagne di soldi ricevute finora dalla Gran Bretagna senza che un carrello si sia ancora staccato dalle piste.
Tanta foga nel diabolico perseverare di Sunak potrebbe altresì essere tattica e preludere all’annuncio a sorpresa di elezioni anticipate già quest’estate anziché in autunno. È bisbiglio che circola tra le fila laburiste, che lo vedono come antidoto a un possibile tentativo frondista di rovesciare Sunak, anche in vista della probabile emorragia di voti riservata al partito dalle prossime elezioni amministrative del 2 maggio.

L’accelerazione concentrazionaria servirebbe dunque a capitalizzare consensi in vista del voto, mossa disperata per sventare una sconfitta per molti già scritta. E prima del fallimento, altrettanto già scritto, di una policy oscena.