L’eolico off-shore galleggiante è tra gli esempi più evidenti del potenziale industriale del nostro Paese che rischia di rimanere inespresso. Il discorso è più ampio e si riferisce allo sviluppo industriale di un Paese che con le rinnovabili potrebbe finalmente, dopo una egemonia incontrastata della fonte fossile, disegnare punti di forza e know-how se promossi in una pianificazione strategica con azioni di supporto per la piccola e media impresa nazionale.

L’EOLICO GALLEGGIANTE infatti può attivare all’interno della propria filiera sei settori chiave dell’economia italiana: materiali da costruzione, prodotti in metallo, meccanica avanzata, cantieristica, apparecchiature elettriche, logistica dei porti, liberando migliaia di posti di lavoro, ed iniziando una attività di formazione per la definizione di competenze al momento non presenti. I settori industriali coinvolti nello sviluppo di questa tecnologia sono di grande interesse e di grande storia per il nostro Paese, dalla metallurgia alla cantieristica, dalla navigazione alle infrastrutture elettriche, con un giro di affari complessivo che supera i 250 miliardi di euro all’anno. Per le piattaforme galleggianti la produzione di acciaio è fondamentale e per rendere operative le turbine galleggianti sono necessarie navi di supporto, in cui l’Italia è leader, soprattutto per la gestione e la manutenzione che rappresenta la voce di costo più significativa nella vita utile di un parco eolico offshore galleggiante (37% del totale).

LA TECNOLOGIA DELL’EOLICO off-shore, che già oggi prevede, secondo i dati dell’ANEV, (Associazione nazionale dell’energia del vento), investimenti per 110 GW è invece scarsamente sostenuta poiché il PNIEC per l’eolico galleggiante prevede solo 2 GW al 2030. Nonostante sia un obiettivo ridotto rispetto a quello di altri Paesi europei, c’è da fare i conti con iter autorizzativi eccessivamente lunghi, la scarsa definizione del sistema incentivante ed una inesistente pianificazione strategica dello spazio marittimo che rendono poco realistico l’obiettivo stesso.

INVECE IL PAESE DOVREBBE SOSTENERE la tecnologia floating proprio per le caratteristiche dei nostri mari, che favoriscono strutture galleggianti in acque più profonde e con venti più forti, e quindi con maggiore potenziale energetico, con minori impatti sull’ambiente e sulla fauna marina, e maggiori distanze dalla costa. Sistemi galleggianti che assegnerebbero all’Italia un primato in campo internazionale, che però è ancora tutto da costruire e da rendere operativo. Con solo 0,03 GW ad oggi installati a Taranto con un impianto fisso, il confronto con gli altri Paesi è pesante: Cina, Regno Unito e Germania hanno capacità installate nel 2022 tra i 10 e i 30 GW e un obiettivo al 2030 di 60 GW (Cina), 50 GW (UK) e 30 GW (Germania). E neanche la pianificazione per il futuro risulta ambiziosa, visto che il PNIEC prevede che solo il 2% dell’obiettivo di potenza rinnovabile elettrica installata al 2030 provenga da impianti eolici offshore. Ed invece la tecnologia flottante, che prevede l’uso di piattaforme ancorate anziché blocchi di cemento fissi, è già oggi una soluzione che potrebbe andare a tutto vantaggio del nostro Paese.

D’ALTRA PARTE, LE AREE PIÙ ADATTE per la installazione di parchi offshore sono proprio quelle regioni che mostrano una difficoltà a raggiungere i target di rinnovabili al 2030, come Sardegna, Sicilia e Puglia, così come riportato nella bozza del decreto Aree idonee. Aree idonee che per l’eolico offshore devono essere previste in una pianificazione strategica dello spazio marittimo, capace di identificare zone che per numero e dimensioni permettano gli sviluppi per il pieno potenziale della tecnologia. Le risorse finanziarie ci sarebbero, ad esempio per le infrastrutture cantieristiche o per l’industrializzazione delle fondazioni galleggianti, anche se dovrebbero essere inquadrate in una strategia complessiva per spazi e infrastrutture portuali adeguati per le attività di assemblaggio, installazione e messa in funzione delle turbine. Al momento, tuttavia, in Italia non esistono porti con i requisiti tali da sviluppare un progetto di eolico offshore galleggiante: sono necessari centinaia di milioni di euro per adeguare le attuali infrastrutture, ed anche questa è una attività di sviluppo, da ricomprendere nel piano di gestione dello spazio marittimo, dopo anni di assenza quasi totale della manutenzione.

OLTRE AL PROGRAMMA DI SCENARIO, occorre anche risolvere alcune criticità croniche: le concessioni demaniali ancora bloccate su un Codice della Navigazione ormai obsoleto e la finalizzazione del decreto FER2 per l’urgenza di definire sistemi incentivanti per lo sviluppo concorrenziale dell’eolico galleggiante, soprattutto a seguito degli auspici derivanti dal recente decreto di Provvedimento Unico per il primo parco eolico galleggiante in Italia, nel Canale di Sicilia a circa 35 km dalla costa di Marsala. Le piattaforme non hanno fondamenta fissate al fondale marino, ed a mantenere in posizione le turbine eoliche saranno speciali strutture progettate da Stiesdal Offshore Technologies e composte da componenti tubolari disposti secondo un tetraedro asimmetrico con casse di zavorra nei vertici del triangolo di base.

LA TECNOLOGIA DELLE TURBINE galleggianti ufficialmente dimostra di superare i limiti imposti dai fondali profondi del Mediterraneo, aprendo così una nuova prospettiva che include entro il decennio 2 GW in tre parchi eolici galleggianti tra Olbia e Civitavecchia. Queste opere saranno realizzate da Copenaghen Infrastructure Partners. Responsabilità estere quindi, e resta da capire se, anche a seguito della realizzazione effettiva da parte di Terna del Tyrrhenian Link, il doppio cavo sottomarino che collega le isole con la penisola della lunghezza di 1000 km e della capacità elettrica di 1 GW, anche altre aziende italiane, oltre a quelle straniere, siano in grado di presentare progetti per parchi eolici di minori dimensioni, e se questi potranno essere finanziati, almeno in parte, dai fondi residui del PNRR destinato per il 40% al Sud Italia.

* Prorettore alla Sostenibilità, Sapienza Università di Roma