Questa tragedia parigina riporta in primo piano il ruolo della satira politica nella vita pubblica. La satira politica in Francia ha una grande tradizione, rappresentata in primo luogo dal Canard Enchainé, nato nel 1915 per contrastare l’ultranazionalismo e lo chauvinismo che in tempo di guerra si diffondevano nel paese. Il titolo della pubblicazione, che significava Il giornale incatenato (Canard, cioè anatra, è un’espressione gergale per dire giornale), si confrontava con quello del giornale di Clemenceau, L’homme dechainè (l’uomo liberato dalle catene), testata estremamente patriottarda.

Il Canard Enchainé è un settimanale tuttora attivo e anche molto letto, che si presenta in modo del tutto diverso da Charlie Hebdo. Charlie Hebdo ha una sua veste inconfondibile e anche un pubblico del tutto differente. Charlie Hebdo, giornale caustico e irriverente, venne fondato nel 1969 con un nutrito gruppo di eccellenti disegnatori che comprendeva Wolinski, Reiser, Gébé e Cabu. Charlie Hebdo riprendeva un progetto iniziato nel 1960 da Philippe Bernier (il professor Charon) e da Francois Cavanna, con un mensile che si chiamava Hara Kiri, journal bête et mechant. La squadra dei primordi comprendeva già Reiser, Wolinski, Fred, Gébé, Cabu e Roland Topor, altra grande figura di straordinario artista. Il giornale ebbe una vita difficile: fu interdetto due volte, nel 1961 e nel 1966, per presunti oltraggi.

Il collante che teneva insieme i redattori di Charlie Hebdo era la passione per l’ironia e la dissacrazione, oltre a una straordinaria unità di intenti. Fu un italiano, il milanese Staletti, che rappresentava in Italia alcuni importanti disegnatori francesi, a introdurmi in quel luogo speciale che era la redazione di Charlie Hebdo. Si era agli inizi degli anni settanta e Charlie esercitava già da tempo, attraverso le vignette e gli scritti dei suoi redattori, la sua acuta critica dei costumi e della politica francesi. Non credo sia mai esistita una comunità di giornalisti altrettanto conviviali. Per svariati anni, soprattutto per i forti legami di amicizia con Geroge Wolinski, di cui piango la scomparsa, Cavanna e Reiser, ho frequentato quella redazione, soprattutto di sera, nei giorni di chiusura. Francois Cavanna che in seguito scrisse Les Ritals, uno straordinario libro dedicato all’immigrazione italiana, era il redattore capo. Purtroppo se ne è andato nel 2014. Philippe Bernier, detto il professor Charon, pittoresco e fantasioso personaggio, era il direttore nonché l’editore di questa pubblicazione che operava in continua guerriglia con i poteri forti. Durante le riunioni i momenti più divertenti, addirittura esilaranti, erano le sedute fotografiche finalizzate a realizzare immagini per la copertina. Gli attori erano gli stessi redattori e magari ospiti o bellezze di passaggio. Di ospiti ce ne erano spesso molti, amici e lettori del giornale, intellettuali di grido e gente comune. L’atmosfera era di costante allegria, mentre si intrecciavano tutte le proposte e le idee. Qualche volta nascevano dei dissensi, ma il tono generale era il buon umore che del giornale è sempre stato il marchio di fabbrica.

C’era sempre un ricco buffet, a base di squisiti paté e di eccellenti formaggi, in un clima veramente unico di libertà creativa. Il consumo alcolico era ovviamente piuttosto alto e sempre di prim’ordine.

Gli uomini e le donne (pochissime, a dire il vero) che componevano la redazione erano figure di grande fascino, la loro compagnia era molto gradevole.

Dal 1969 in poi il successo di Charlie Hebdo è andato crescendo, soprattutto nel mondo giovanile. Rientrato in Italia alla fine degli anni ’90 non ho più avuto modo di frequentare quelle allegre riunioni. Ricordando il clima che vi regnava mi vengono i brividi a pensare alla spaventosa sorpresa che hanno avuto i presenti quando hanno fatto irruzione tra di loro gli assassini per compiere l’inimmaginabile. Sì, perché i redattori di questo giornale erano uomini pacifici, combattenti per un’idea libertaria. Redigevano in effetti un giornale autodefinitosi “stupido e cattivo” che fustigava il malcostume e scandalizzava i benpensanti, ma erano ancor sempre uomini sensibili e generosi.

A riprova di quanto veritiera fosse questa mia impressione è il ricordo dei funerali di Jean-Marc Reiser, disegnatore fantastico e grande uomo, il 7 novembre 1983. C’era una grande folla intorno alla fossa, nel cimitero di Montparnasse. Quando Francois Cavanna lanciò nella tomba un ritratto di Reiser sorridente, ci fu un momento di grande commozione. Mentre pugni di terra coprivano la bara, tutti i redattori riuniti di questo giornale bête et mechant avevano gli occhi rossi.