Il blogger saudita Raif Badawi oggi rischia di ricevere, dopo la preghiera del venerdì, una seconda serie di 50 frustate. E’ questo l’avvertimento che lanciano gli attivisti per i diritti umani, ricordando che nei giorni scorsi la Corte Suprema dell’Arabia Saudita ha confermato la pena a 10 anni di carcere e a 1.000 frustate per Badawi, condannato per aver “insultato” personalità politiche ed esponenti religiosi attraverso il suo blog.

 

Lo scorso gennaio Badawi aveva ricevuto le prime 50 frustate davanti ad una moschea di Gedda. Le sue condizioni erano apparse molto gravi dopo l’esecuzione della tremenda punizione e le successive serie di frustate furono rinviate per motivi medici. Ora la fustigazione potrebbe riprendere dopo la sentenza definitiva dei massimi giudici sauditi,  definita “agghiacciante” da Philip Luther, direttore del programma Medio Oriente e Africa del Nord di Amnesty International.

 

«Avere un blog non è un reato – ha detto Luther – Badawi è stato condannato solo per aver osato esercitare il suo diritto alla libertà d’espressione». Libertà di espressione e di pensiero che, evidentemente, per i leader occidentali vale per i vignettisti di Charlie Hebdo a Parigi ma non per i dissidenti incarcerati dai regimi alleati. Per Luther «le autorità dell’Arabia Saudita, rinunciando ad annullare le sentenze, hanno mostrato un vergognoso disprezzo per la giustizia e per le decine di migliaia di voci che nel mondo si sono levate per chiedere il rilascio incondizionato e immediato di Badawi».

 

L’Arabia Saudita ha respinto le critiche e ha denunciato “la campagna mediatica attorno al caso”. Lo scorso 29 maggio l’ambasciata saudita a Bruxelles ha inviato una dichiarazione ufficiale ai membri del Parlamento Europeo per condannare le “interferenze nei suoi affari interni”, dicendo che “alcune parti internazionali e i media cercano di violare e attaccare il diritto sovrano degli Stati”.

 

Nella sua prima lettera dal carcere, pubblicata a marzo dal settimanale tedesco Der Spiegel, Badawi raccontò di essere “miracolosamente sopravvissuto a 50 frustate”, e di essere stato “circondato da una folla plaudente che gridava incessantemente Allahu Akbar’ [Dio è grande]”, durante la fustigazione. “Sono stato sottoposto a questa crudele sofferenza solo perché ho espresso la mia opinione”, scrisse il blogger.

 

In Arabia saudita la flagellazione è generalmente effettuata con un bastone in legno chiaro, con colpi distribuiti lungo tutta la schiena e le gambe, che lasciano lividi ma non lacerano la pelle.