Un testo ancora non c’è, si sta lavorando e se ne riparlerà solo la prossima settimana, nel prossimo cdm dove «si entrerà nel merito». Nessuna domanda dopo l’illustrazione ancora sommaria del progetto, del resto sta anche per iniziare Fiorentina-Roma. Al termine del consiglio dei ministri di ieri sera Matteo Renzi, dopo aver illustrato il ddl sulla scuola, dedica così solo pochi minuti alla riforma della Rai che partirà, come per la scuola, da linee guida.
Il succo è quello già anticipato: basta «contiguità fra Rai, partiti e forze politiche», basta «dover discutere ogni giorno con il segretario o il parlamentare di riferimento della commissione di vigilanza». Dunque ci vuole un capo azienda che possa decidere, un amministratore delegato senza briglie e senza una «pletora di vicedirettori», scelto dal governo. Perché «un leader si assume le responsabilità» e il governo «ha il dovere più che il diritto» di nominare il capo della tv pubblica. E a chi allora dice per questo cose «stravaganti», cioè che «Renzi vuole mettere le mani sulla Rai», figurarsi, «sopportiamo tutto», ma non questo, perché per prendersi la tv pubblica «basterebbe aspettare la scadenza dell’attuale consiglio d’amministrazione», visto che con la legge Gasparri in vigore «le forze politiche al governo possono nominare la maggioranza dei vertici» di viale Mazzini. In effetti è così e la Gasparri non è certo un esempio di autonomia e indipendenza dei dirigenti.

Ma Renzi vuole appunto la «responsabilità» di fare da solo (certo, attraverso l’azionista che è il ministero dell’economia), scegliendo un super manager con più poteri rispetto a quelli dell’attuale direttore generale, ridimensionando il ruolo del consiglio d’amministrazione. Al quale comunque rimane il compito di ratificare la nomina del capo azienda (come attualmente avviene con il dg, mentre il presidente del cda deve avere anche il via libera dei due terzi della commissione di vigilanza). E qui è la chiave per non andare a sbattere contro le sentenze della Corte costituzionale secondo le quale l’esecutivo non può avere un peso esclusivo o prevalente nella nomina della governance di viale Mazzini (e infatti persino Gasparri apprezza, visto che da giorni insisteva su questo tasto, e dice che in fondo cambierà poco). Il consiglio d’amministrazione non più a nove membri ma a sette, dovrebbe essere per la sua maggior parte nominato dalle camere riunite in seduta comune (ma «questo è il mio auspicio, deciderà lo stesso parlamento», continua Renzi) e il premier conferma l’idea di inserire nel cda un rappresentante dei lavoratori dell’azienda.

Una medaglietta che il premier vorrebbe appuntarsi sul petto «con buona pace di quelli che pensano che vogliamo espropriare il parlamento o che non abbiamo rispetto per le lavoratrici e i lavoratori» (come risarcimento per il Jobs Act sembra un po’ pochino).

E con buona pace del Movimento 5 Stelle, con il quale sulla riforma Rai sembrava aperta una via di comunicazione. I toni di Renzi sembrano già chiuderla, visto che liquida così la proposta, per nominare il cda, di un sorteggio da parte dell’Agcom dopo la pubblicazione di un avviso pubblico (proposta in effetti curiosa): «Io non vado avanti per sorteggio. Questa è la differenza tra chi fa il leader e chi vuole fuggire dalle responsabilità rifugiandosi sull’Aventino. Se sbaglio ne pago le conseguenze». Il 5 Stelle Roberto Fico, presidente della commissione parlamentare di vigilanza, non gradisce: «Noi con la nostra proposta ci assumiamo la responsabilità di separare definitivamente il potere politico dalla Rai. Se Renzi vuole mascherare la nomina dell’amministratore delegato come responsabilità e non come lottizzazione governativa, lo lasciamo alla sua propaganda. La Rai ha bisogno di indipendenza totale». Ma il confronto andrà avanti.

Un passaggio Renzi lo dedica anche all’idea discussa nella riunione di martedì notte al Nazareno: «Le differenze tra le singole reti devono essere più marcate e quella destinata alla cultura la immagino senza pubblicità». Ipotesi, quest’ultima, che invece piace ai grillini.
Il taglio agli spot andrebbe di pari passo con il dimezzamento, se non con l’abolizione totale (come da ultime indiscrezioni) del canone. Ma su questo per il momento il premier sorvola. Meglio farsi prima un paio di conti.