In piazza Bocca della Verità, a Roma, hanno manifestato questa mattina movimenti di lotta per la casa, sindacati come Asia-Usb e Unione Inquilini e associazioni come Nonna Roma, Msf e Asgi. Un’alleanza larga e variegata unita dalla richiesta di cancellare l’articolo 5 della legge 80 del 2014. Erano i tempi del governo di grande coalizione guidato da Matteo Renzi (centro-sinistra), con Maurizio Lupi (centro-destra) al ministero di Infrastrutture e trasporti. Il quinto punto del provvedimento nega il diritto di chiedere la residenza e l’allacciamento delle utenze a chi occupa una casa. «È una norma discriminatoria che crea cittadini di serie A e di serie B», afferma Irene Di Noto, attivista dei Blocchi precari metropolitani (Bpm).

La manifestazione si è svolta nei pressi dell’anagrafe dove è stata protocollata una lettera con le richieste. Quella contro l’articolo 5 è una battaglia storica dei movimenti per il diritto all’abitare, ma nel contesto della pandemia ha assunto una rilevanza nuova perché senza l’iscrizione anagrafica per le istituzioni è più complicato il tracciamento sanitario delle persone e per i cittadini interessati è più difficile accedere alle prestazioni sanitarie e ai bonus e tutele previste per chi vive maggiori difficoltà.

Una prima deroga è stata introdotta dall’emendamento al decreto rilancio di maggio scorso che permette di fare domanda di Reddito di emergenza anche alle famiglie senza residenza, attraverso un’autocertificazione. Tra i firmatari il consigliere capitolino e deputato eletto con Liberi e Uguali Stefano Fassina, che è intervenuto durante la mobilitazione. «Torneremo alla carica contro questa norma anche nel decreto sostegni, ma il problema è più ampio: tutte le persone che ne hanno diritto devono poter accedere alla casa popolare», ha detto Fassina.

Il tema del diritto all’abitare è tra quelli più caldi in questo periodo, su diversi fronti. Rispetto al mercato privato c’è il blocco degli sfratti introdotto a marzo 2020 con lo scoppio della pandemia e prorogato al 30 giugno 2021 dal decreto milleproroghe. La norma è al centro di attacchi continui da parte delle associazioni di proprietari di case, Confedelizia in testa, e di Matteo Salvini (Lega), che a cadenza regolare ne chiedono la revoca o la limitazione.

Sullo sfondo rimane la questione decisiva di un piano di edilizia residenziale pubblica capace di risolvere nella sua interezza le diverse situazioni di precarietà abitativa a livello nazionale, rispondendo ai bisogni di chi è costretto a occupare un palazzo abbandonato e offrendo un’alternativa a chi non riesce a pagare l’affitto. Tra il 2019 e il 2020 sono stati emessi quasi 90mila provvedimenti di di sfratto, di cui circa il 90% per morosità incolpevole. Per Sunia-Cgil quasi la metà degli inquilini ha ormai difficoltà a sostenere la spesa mensile per l’abitazione. Secondo i numeri dell’Unione Inquilini sono circa 3,2 milioni le famiglie che vivono in affitto, mentre 650mila sono quelle in graduatoria per una casa popolare.

Le soluzioni potrebbero venire dal mezzo miliardo già stanziato per i bonus affitto che rimane inutilizzato a causa della complessità delle procedure di accesso e poi dalle risorse che arriveranno con il Recovery Fund. «Nel parere delle commissione ambiente sul Recovery Plan abbiamo introdotto un impegno a finanziare un piano di edilizia residenziale pubblica a canone sociale. Adesso aspettiamo di vedere la versione finale stabilita dal governo», continua Fassina.

Attesa per una svolta complessiva nelle politiche abitative c’è anche da parte degli «ultimi tra gli ultimi», le persone che vivono nelle baracche. Sempre a Roma sono tornate a mobilitarsi alcune famiglie del più grande campo rom della capitale, quello di Castel Romano. Sulle scale del Campidoglio hanno chiesto che anche a loro, come a tutti i cittadini che ne hanno diritto, sia garantito il diritto all’alloggio.