Il ministro Speranza, per avere i finanziamenti del Recovery fund, sta mettendo a punto 20 progetti per circa 68 miliardi da realizzarsi nei prossimi 5 anni. Difficilmente li avrà tutti e, per realizzare il suo piano di interventi, l’obiettivo potrebbe essere quello di fare affidamento sui finanziamenti del Mes.

Disporre di un surplus di fondi pubblici per la sanità pubblica è un’occasione irripetibile. Lo è sicuramente per sistemare le magagne di un settore così cruciale, ma anche per realizzare finalmente il sogno di quella riforma del 1978 che, per una infinità di motivi, è stato, in questi 40 anni, frainteso, impoverito, in molti casi disatteso se non apertamente contro-riformato, cioè tradito.

Ma per realizzare questo sogno bisogna recuperare le fesserie politiche del Pd, che sulla sanità ha sempre sposato il modello emiliano (regionalismo differenziato, deregulation..).

Questo partito ha messo mano alla Costituzione (titolo V), subordinato i diritti all’economia (azienda), aperto la porta al privato (incentivi a welfare aziendale, mutue e fondi), sfruttato il sud attraverso una allocazione di risorse iniqua (quota capitaria ponderata e mobilità sanitaria), inchiodato il sistema tutto ad una forte regressività culturale (università ferma, formazione inadeguata, medicina dimenticata), causato guerre tra professioni (contendibilità dei ruoli), esasperato inedite “crisi professionali” (questione medica, contenzioso legale), de-capitalizzato il lavoro degli operatori tenendoli prigionieri, in statuti giuridici sbagliati e indecorose gabbie salariali.

Le proposte di Speranza più che la ripresa del sogno riformatore somigliano piuttosto a una lunga lista che, a contraddizioni e criticità del sistema invarianti, può servire per fare shopping, ovvero per comprare qualsiasi cosa. Quindi tanti soldi ma poche idee e soprattutto tanta spesa ma ahimè poca politica e poca cultura.

Ciascuno di questi progetti, ovviamente, ha indubbie utilità sociali, ma nel loro insieme rappresentano, purtroppo, una debole politica di riordino di ciò che c’è, un aggiungere strutture, alcune anche discutibili, a strutture, quindi costi a costi, un tentativo di ammodernamento usando la digitalizzazione come se fosse una bacchetta magica ma senza un progetto a scala di sistema.

Un solo paradigmatico esempio: a fronte di una grande diseguaglianza e ingiustizia nel Paese, la stessa che permette alle regioni del nord di avere più soldi e sfruttare, con la mobilità dei malati, le regioni del sud (5 mld il giro di affari), Speranza uomo del sud, anziché riformare i criteri di allocazione delle risorse per dare al sud ciò che è giusto, chiede 670 mln per mettere in piedi dei «centri territoriali per il contrasto alla povertà sanitaria e per le persone irraggiungibili (hard to reach)».

È improbabile che Speranza abbia tutti i soldi che chiede ma fingendo di aggiungere all’attuale spesa sanitaria complessiva di circa 125 mld (malcontati) i 68 mld, si arriva ad una spesa annua per la sanità poco al disotto dei 200 mld, con un quasi raddoppio della sua incidenza su un Pil che tutti sanno è sotto le pietre.

Ebbene, senza un progetto di riforma il rischio è di un ulteriore passo verso la privatizzazione alimentato dal pesante conflitto tra l’economia e lo scontento sociale.