È stata presentata ieri in Vaticano Laudato si’, l’enciclica ecologica «sulla cura della casa comune» di papa Francesco, annunciata da tempo e anticipata dall’Espresso che lunedì scorso, violando l’embargo, ha pubblicato una bozza, come prevedibile, uguale all’originale. Titolata in italiano – anzi in volgare umbro del XIII secolo, visto che si tratta di un verso del Cantico di frate Sole di Francesco d’Assisi – invece del tradizionale latino, l’enciclica è ampia, ma la tesi è compatta.

Il rapido sviluppo industriale e tecnico degli ultimi due secoli – dalla prima rivoluzione industriale – ha assegnato un enorme «potere» agli esseri umani, presto trasformato in «dominio», «saccheggio» delle risorse e «sfruttamento» della Terra, dei popoli e delle persone. L’economia e la finanza – non enti astratti, ma capitalisti, banche e multinazionali – hanno preso il sopravvento sulla politica, e la «massimizzazione del profitto» è diventato il valore dominante e il motore del sistema. Questo processo ha generato una grave «crisi ecologica», che è anche crisi «sociale» ed «umana», di cui l’ambiente e miliardi di esseri umani impoveriti sono vittime sacrificali, necessarie al mantenimento del sistema e al benessere di pochi. Ci vogliono, allora, una «resistenza» allo sfruttamento e all’oppressione strutturali e una «conversione ecologica», che per realizzarsi hanno bisogno di una «rivoluzione culturale» capace di sovvertire il «paradigma tecnocratico» che comanda «sull’economia e sulla politica».
Come? Lungo due vie: un mutamento delle azioni politiche e finanziarie, auspicando una «autorità politica mondiale» attenta al bene comune (un’idea velleitaria, anche perché lo stesso Bergoglio elenca i fallimenti dei vertici internazionali per il clima e lo sviluppo sostenibile); e, dal basso, nuovi stili di vita («sobrietà», buone pratiche, consumo critico) e azioni politiche (campagne in difesa dei beni comuni, boicottaggio) per stimolare o costringere imprese e istituzioni a cambiare rotta. Il messaggio è rivolto «a ogni persona che abita questo pianeta». I cristiani, convinti che la Terra sia dono di Dio, devono essere «coerenti con la propria fede» e non contraddirla «con le loro azioni».

L’analisi della situazione è dettagliata, talvolta ripetitiva, sono inseriti elementi della dottrina apparentemente fuori tema, dalla condanna dell’aborto («non è compatibile la difesa della natura con la giustificazione dell’aborto») alla rivendicazione della «mascolinità» e «femminilità» di ogni essere umano contro la pretesa di «cancellare la differenza sessuale». «Sorella» Terra «protesta per il male che le provochiamo, a causa dell’uso irresponsabile e dell’abuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla». E i «sintomi di malattia» sono ovunque, «nel suolo, nell’acqua, nell’aria e negli esseri viventi»: inquinamento che provoca «milioni di morti», urbanizzazione e cementificazione selvaggia, «perdita di biodiversità», rifiuti che trasformano la Terra «in un immenso deposito di immondizia», «riscaldamento globale», riduzione di «risorse essenziali come l’acqua potabile», spesso privatizzata e «trasformata in merce». Una distruzione ambientale che ha conseguenze sulle persone: «È tragico l’aumento dei migranti che fuggono la miseria aggravata dal degrado ambientale, i quali non sono riconosciuti come rifugiati nelle convenzioni internazionali».
Le cause sono tutte umane, riconducibili ad una: la «massimizzazione del profitto», difesa dalle oligarchie con «nuove guerre mascherate con nobili rivendicazioni» e con una «concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui». Invece è il contrario, perché «il salvataggio delle banche» è stato fatto pagare «alla popolazione», senza «riformare l’intero sistema», anzi riaffermando «un dominio assoluto della finanza che non ha futuro e che potrà solo generare nuove crisi».

Chi dice questo viene accusato di voler «fermare irrazionalmente il progresso e lo sviluppo umano», ma non è così, scrive Francesco. Si tratta piuttosto di dare vita a «un’altra modalità di progresso e di sviluppo» – uno «sviluppo sostenibile», una «decrescita in alcune parti del mondo» -, «che potrà offrire altri benefici economici a medio termine». Una soluzione radicale: «Non basta conciliare in una via di mezzo la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro», la stessa «crescita sostenibile diventa spesso un diversivo» e una «giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine». Bisogna «ridefinire il progresso», perché «uno sviluppo tecnologico ed economico che non lascia un mondo migliore e una qualità di vita integralmente superiore, non può considerarsi progresso».