La nave Alan Kurdi della Ong Sea-Eye è stata nuovamente sottoposta a un fermo amministrativo. È accaduto venerdì sera a Olbia. Si aggiunge alle altre navi umanitarie bloccate: Sea-Watch 3, Sea-Watch 4 e Ocean Viking. Solo Open Arms finora è riuscita a superare i controlli. «È ovvio che sono ispezioni politicamente motivate», afferma Valentin Schatz, ricercatore associato presso l’Università di Amburgo e l’Istituto per la legge del mare e il diritto marittimo. Schatz è consulente di Sea-Eye e rivela un elemento importante: nonostante le ispezioni che hanno causato i due fermi dell’Alan Kurdi siano avvenute in due porti diversi e lontani gli ufficiali sono gli stessi. il manifesto ha verificato l’informazione consultando i documenti e attraverso una fonte ha poi appreso che è stata formata una squadra apposita per le Ong, che si sposta su indicazione del comando generale delle capitanerie di porto.

Valentin Schatz, esperto di diritto internazionale del mare

Perché la Alan Kurdi è di nuovo bloccata?

L’Italia considera le attività di ricerca e soccorso della nave un “fattore prevalente” che giustifica controlli aggiuntivi. Secondo le regole normali la Alan Kurdi non sarebbe stata ammissibile per un controllo di sicurezza in porto per un altro anno. Il “fattore prevalente” sarebbe che la nave salva i migranti ma non è certificata per questo servizio. Quindi le autorità italiane ritengono che il soccorso sia un servizio invece che un’operazione d’emergenza. Questa è la motivazione principale. Poi ci sono piccole mancanze tecniche, che effettivamente esistono ma si potrebbero risolvere rapidamente. Ogni volta sono effettuati controlli di 8, 10 ore alla ricerca di ogni irregolarità. Anche a maggio andò così.

C’è una forma di accanimento?

È ovvio che sono controlli politicamente motivati. Quasi nessuna nave viene ispezionata da cima a fondo ogni volta che entra in un porto. C’è poi un dettaglio interessante: i verbali di ispezione del 5 maggio e del 9 ottobre sono firmati dagli stessi due ufficiali della capitaneria di porto. Nonostante siano avvenuti in due porti e in due isole diverse: a Palermo il primo, a Olbia il secondo. È singolare. In genere questi controlli sono condotti dalle autorità del porto di sbarco o al massimo di uno vicino.

Ha analizzato anche i documenti relativi al fermo di Sea-Watch 4. Cosa emerge?

Lo schema è lo stesso per tutte le navi civili di salvataggio. L’Italia interpreta le regole in un modo peculiare, che differisce da quello degli altri stati. Ritiene che queste imbarcazioni non compiano operazioni di emergenza ma offrano un servizio di ricerca e soccorso e per questo debbano soddisfare requisiti aggiuntivi di sicurezza.

Le autorità sembrano più preoccupate per la sicurezza dei naufraghi quando sono a bordo che quando rischiano la vita in mare.

Stanno affermando che sono passeggeri. Se una nave trasporta passeggeri deve avere più bagni, più spazi e certificazioni diverse. Perché il funzionamento normale è per molte persone. Quelle delle Ong, invece, sono navi con poche persone a bordo. Aumentano solo dopo i salvataggi perché non possono lasciare qualcuno in mare. I rapporti rilevano sempre la stessa mancanza: il sistema di scarico delle acque reflue. A Sea-Watch 4 dicono: ad agosto hai salvato 358 persone ma l’impianto di depurazione era per 30. Ma se hai salvato dei naufraghi è chiaro che non stai funzionando normalmente.

Dal punto di vista del diritto internazionale del mare come interpreta i provvedimenti?

Ricerca e soccorso non sono un servizio, ma un obbligo. Un obbligo più importante di quelli che riguardano il sistema di scarico dei bagni. Quello che chiede il governo italiano non esiste. Sea-Watch 4 e Alan Kurdi battono bandiera tedesca ma non possono andare dal loro governo e chiedere di essere classificate come navi di ricerca e soccorso, perché per imbarcazioni private quella certificazione non esiste. Né nel diritto tedesco, né in quello internazionale. E credo neanche in quello italiano. A parte ciò, le certificazioni sono stabilite in base al funzionamento normale. Per 20-30 persone il governo tedesco rilascia quella di nave da carico. L’Italia, come gli altri paesi membri, è obbligata a riconoscerla. È una specie di diritto comunitario. L’Italia non può dire di no. Siamo in presenza di un disaccordo tra stati.

Su cosa?

La maggior parte delle convenzioni internazionali specificano che la messa in sicurezza delle persone in mare costituisce sempre un’eccezione. Se una nave commerciale compie un salvataggio e trasporta un numero maggiore di persone gode di specifiche eccezioni rispetto a ciò che le è richiesto normalmente. Per esempio non si applica il divieto di scaricare acque reflue in mare, perché l’obbligo di salvare vite prevale su quello di non inquinare. Il governo italiano, però, sostiene che queste eccezioni valgono solo quando il salvataggio è accidentale, mentre le Ong vanno in mare con quello scopo intenzionale. La questione potrebbe essere risolta in maniera semplice: affinché ciò che fanno le Ong sia di nuovo un’eccezione basterebbe che l’Italia utilizzasse la Guardia costiera per le missioni di ricerca e soccorso. L’unico motivo per cui le Ong compiono regolarmente dei salvataggi è che non ci sono più i governi a farlo, come sarebbe loro obbligo.