C’è una notizia buona e una cattiva. Cominciamo con quella buona: il cielo, almeno alle nostre latitudini, è assai più pulito di qualche decennio fa. Vale almeno per tutto l’emisfero nord, dove l’industrializzazione è arrivata prima ed è stata più intensa. E dove però sono state introdotte le prime misure di riduzione dello smog, che provoca tuttora milioni di morti ogni anno. La situazione è molto migliorata persino in Cina, dove fino a pochi anni fa ogni fotografia all’aperto appariva velata da una nebbia giallastra. Meitu, una popolare app cinese di manipolazione di immagini, a un certo punto aveva persino introdotto il filtro «desmog» per restituire il cielo azzurro ai paesaggi metropolitani cinesi almeno in fotografia. Le cose in Cina sono cambiate radicalmente nel 2007 con l’introduzione di un mercato delle emissioni simile a quelli occidentali. Da allora sono diminuite del 60% le emissioni di biossido di zolfo, il principale prodotto della combustione delle fonti fossili che favorisce la formazione delle polveri sottili. Come detto, il trend riguarda tutti i Paesi avanzati. Anche nella vituperata Milano la quantità di gas inquinanti nell’aria è sensibilmente calata negli ultimi decenni, nonostante la Pianura padana rimanga una delle aree più inquinate d’Europa: è che nel resto del continente le cose sono migliorate più rapidamente che da noi. Fine della buona notizia.

Veniamo dunque a quella cattiva: le polveri sottili sospese in atmosfera, che gli scienziati chiamano aerosol, non hanno solo effetti negativi sull’ambiente: gli aerosol fanno ombra alla Terra e riflettono una percentuale importante della luce solare.
Se ne accorsero i dinosauri quando un asteroide – o forse gigantesche eruzioni vulcaniche: il dibattito è ancora aperto – spedirono in cielo ceneri che oscurarono il sole per molti secoli e provocarono un raffreddamento globale a cui sopravvissero i più adattabili mammiferi.
Gli aerosol inoltre facilitano anche la formazione delle nuvole, un altro filtro alla luce solare.
In altre parole, l’inquinamento che ci impregna i polmoni ha finora rappresentato un freno al cambiamento climatico. Secondo i ricercatori del Centro per la ricerca climatica internazionale di Oslo (Norvegia), che sul tema hanno appena pubblicato uno studio sulla rivista «Communications Earth & Environment», il miglioramento della qualità dell’aria potrebbe spiegare la recente accelerazione del riscaldamento globale.

Non è un fenomeno inaspettato. Già nel 1990 il climatologo James Hansen, tra i primi a lanciare l’allarme sul global warming, parlava di un «patto faustiano» tra l’umanità e gli aerosol. Ma per molto tempo è stato difficile quantificare l’impatto reale delle polveri sul clima. Lo studio norvegese stima che quasi la metà del calore di troppo immagazzinato dalla geosfera negli ultimi vent’anni sia dipeso dalla rarefazione degli aerosol. Ma i modelli matematici devono essere ancora perfezionati e stime più precise – che tengano conto anche dello scioglimento dei candidi ghiacci artici, altro importante «specchio» per la luce solare – arriveranno nei prossimi anni.
È una brutta notizia per tutti quelli che confondono inquinamento e cambiamento climatico (lo facciamo anche noi giornalisti): non sempre la lotta contro il primo sconfigge anche il secondo e talvolta succede persino l’opposto. Ciò non significa che possiamo solo scegliere tra soffocare o finire bolliti, e dunque che ogni sforzo sia inutile.
Al contrario, abbandonare alla svelta i combustibili fossili diventa ancora più urgente perché lo squilibrio che abbiamo creato è più grande di quanto pensassimo.